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(it) Umanità Nova n.42: Il capitale è morte. Guerra interna e guerra esterna hanno lo stesso fronte

From worker-a-infos-it@ainfos.ca (Flow System)
Date Thu, 25 Dec 2003 11:04:56 +0100 (CET)


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Giovedì 10 dicembre a Torino è morto un lavoratore della ex Iveco
Ricambi, schiacciato da una macchina cui si accingeva a fare
manutenzione ad inizio turno. Dal 1998 in avanti in tutti i comprensori
del gruppo Fiat l'attività produttiva è stata spezzettata in una
pluralità di società, sia del gruppo stesso che esterne. Attraverso lo
strumento della cessione di ramo d'azienda, migliaia di lavoratori hanno
cessato di essere formalmente dipendenti Fiat, pur continuando a lavorare
nello stesso stabilimento all'interno del ciclo produttivo Fiat. Ben
prima della legge 30 del 2003 che ha precarizzato totalmente il rapporto
di lavoro, grazie a tutto lo strumentario già presente nel nostro
ordinamento giuridico e alla cui creazione ha dato un contributo
fondamentale l'Ulivo con il pacchetto Treu, i datori di lavoro avevano
flessibilizzato ampiamente la forza lavoro, mettendola in condizione di
essere ricattata: si pensi all'ampio uso di tutti i contratti di lavoro
privi di stabilità (apprendistato, contratto di formazione lavoro, a
termine, interinale, ecc.).

Non basta che il lavoro subordinato espropri il salariato di tempo, di
ricchezza, di energie, di dignità, per lunghi anni; può anche accadere
che il lavoro si porti via la vita intera in un colpo solo. Anziché il
lento stillicidio che attende i più, in un attimo la fabbrica annichila
il lavoratore.


Il bisogno muove i più a vendere la propria forza lavoro in cambio di un
salario che dovrebbe soddisfare i bisogni primari e magari anche qualcuno
voluttuario. Ma se il lavoro si porta via la vita intera
goccia a goccia o in un colpo solo, non c'è equivalenza nello scambio: la
morte non si baratta con nulla. Bisognerebbe riflettere sul rapporto tra
morte e lavoro, non solo quando un lavoratore perde la vita in un
infortunio, ma vedendolo come essenziale, nel senso che attraverso il
lavoro, il capitale trasforma vita in astratto valore, estrae energia
dalla vita per trasformala a proprio uso e consumo. Il capitale è
morte.

Allora val la pena riflettere sul grado di assuefazione allo stato di
cose presente che pervade la società davanti alla guerra e alla morte che
a lei si accompagna. La guerra è normale, le stragi di civili fatto
inevitabile: del resto, quanto effettivamente sappiamo o leggiamo o
vediamo di ciò che veramente sta accadendo, ad esempio in Iraq o in
Afganistan? Sicuramente in televisione poco o nulla. Si sa solo che la
guerra è necessaria e giusta. Anzi, si tende a chiamarla "operazione di
polizia internazionale": chi è contro la polizia? Allora si accetta a
livello comunicativo che la realtà venga mascherata, utilizzando certe
parole, bombardando di ipocrisia i mass media.

Come il legame tra potere, guerra e morte è costitutivo, così il legame
tra capitale, lavoro e morte lo è altrettanto. Lo scontro quotidiano tra
capitale e lavoro è una guerra a tutti gli effetti, metafora della guerra
guerreggiata che oggi sconvolge poveri paesi cui è strappata vita,
energia, libertà. La morte sul lavoro concentra in un attimo il lento
processo di estrazione di vita, energia, libertà, cui tutti i lavoratori
subordinati sono soggetti. La morte sul lavoro squarcia il velo di
ipocrisia che copre il rapporto tra capitale e lavoro,
denunciandolo come un rapporto di totale espropriazione. Morire sul
lavoro non è una fatalità, è la norma, solo che di solito la morte
avviene lentamente, in anni e anni di espropriazione delle energie del
lavoratore.

Contro questo sistema di morte, fatto di guerra e sfruttamento a
livello individuale e globale, ci si deve opporre con radicalità,
sostenendo e stando accanto a tutti coloro che lottano per liberare la
propria vita da ogni dominio e sfruttamento.

Simone Bisacca


Da "Umanità Nova" n. 42 del 21 dicembre 2003
http://www.ecn.org/uenne/




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