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(it) Umanità Nova n.41: La legge del più forte
From
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Date
Fri, 19 Dec 2003 13:01:51 +0100 (CET)
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Potere, legalità, conflitto sociale
Lo sciopero del 1 dicembre degli autoferrotranviari milanesi,
effettuato in palese e cosciente violazione della normativa che
regolamenta il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali,
consente di fare alcune riflessioni sui tempi che viviamo ed in
particolare sui rapporti tra potere, legalità, conflitto sociale.
Poniamo la legalità come termine medio tra potere e conflitto sociale
perché essa ha una natura ambigua. La norma, infatti, si presenta come
costrizione e garanzia, a seconda del punto di vista dalla quale la si
guardi. Ma, più in profondità, la norma è una forma che sposta il
discorso dai rapporti reali ed economici, che sono sempre rapporti di
forza, ad un piano formale. La norma funziona, cioè, da maschera del
reale e pure come discorso deviante che conduce ad un vicolo cieco, come
oblio della realtà, come feticcio.
Per inquadrare correttamente ciò che è successo il 1 dicembre a Milano,
credo che il dato fattuale da cui partire è lo stato di guerra, in cui il
mondo si trova. Nello stato di guerra si possono rispettare delle regole,
esiste il diritto bellico, formalizzato da convenzioni
internazionali. Costituzioni di molti paesi, compreso il nostro, come è
noto, legittimano la guerra solo a certe condizioni. Oggi, si dice, è
però in corso la "guerra al terrorismo" e quindi sono saltate le regole
della guerra tradizionale. Che ne è stato del diritto? Gli USA hanno
invaso l'Iraq violando il diritto internazionale e contro l'ONU: c'è
qualcuno che li possa sanzionare? Puro stato di fatto, forza pura.
Contemporaneamente, il nostro governo manda soldati in un paese invaso
illegittimamente finanziando l'operazione con un voto del parlamento, nel
rispetto, cioè, di regole formali. Anche Bush deve far finanziare la sua
guerra da un voto del Congresso americano. E gli alpini in
Afganistan come ci sono arrivati? E il governo D'Alema non ha
bombardato l'ex Jugoslavia?
Guerra, parlamenti, governi, leggi: basta il rispetto formale delle norme
a legittimare una violazione sostanziale delle norme stesse? Quanto è
ipocrita, doppio, ambiguo, il diritto.
Il bello è che le norme non sono frutto del concepimento da parte dello
spirito santo, ma sempre prodotto storico, anche quando sono gabellate
come diritto naturale. Qualcuno le avrà pur create ed è sempre il più
forte. Tanto è vero che il più forte le viola senza alcuna conseguenza.
Il problema è che il modello liberale e quello socialdemocratico sono
andati in cortocircuito svelando la loro intrinseca ipocrisia.
Semplicemente il potere non ha oggi bisogno della loro maschera per
affermarsi, per porsi. Chi oggi si appella semplicemente alle "regole
democratiche", al "diritto", per chiederne il ristabilimento a livello
internazionale o contro l'attuale governo di destra nel nostro paese, fa
un'operazione debole e ipocrita al tempo stesso. Perché pone al centro
del discorso solo il piano normativo, che, abbiamo detto, è profondamente
ambiguo e, per il potere reale, del tutto inutile.
E continuare a parlare di diritto, di leggi da rispettare, di leggi da
difendere, di proposte di legge, da parte dei partiti di sinistra e dei
sindacati di stato, porta all'oblio del conflitto sociale, alla sua
formalizzazione, al suo snervamento.
Così, quando dopo due anni di scioperi secondo le regole senza aver
ottenuto nulla, gli autoferrotranviari di Milano scioperano fuori dalle
regole, smascherano il dispositivo formale che ingabbia il conflitto e lo
sterilizza. Da destra si fa quindi appello alla legge e ai suoi tutori
istituzionali per reprimere i reprobi e si chiede di modificare in senso
ancor più restrittivo la legge sullo sciopero nei servizi pubblici
essenziali; da sinistra si fa appello alla legge per chiedere che sia
semplicemente applicata, affermando di "capire la protesta", ma di non
accettarne il metodo perché "fuori dalle regole".
E che dire della precarizzazione del mondo del lavoro resa totale dalla
"riforma Biagi", quando il "pacchetto Treu" aveva legalizzato il lavoro
interinale e con esso la logica della precarietà e dello sfruttamento
selvaggio della forza lavoro? Bisognerebbe oggi lottare contro le leggi
di Berlusconi per difendere le leggi dell'Ulivo?
Il discorso va spostato dal piano dell'ordinamento giuridico a quello dei
rapporti economici e di forza. La critica del presente deve partire dalla
constatazione che chi detiene il potere reale usa i sistemi
giuridici e politici come apparati funzionali al suo mantenimento e alla
sua affermazione. La prima gabbia da rompere è proprio quella della
legge, perché essa è semplicemente un feticcio, non ha forza in se. E lo
strumento per rompere questa gabbia è l'esercizio della libera volontà
individuale, che si manifesta anche, come nel caso di uno
sciopero, collettivamente.
In fondo è lo stato di guerra in cui siamo stati tutti trascinati che
svela, come detto, l'ipocrisia e l'ambiguità dell'ordinamento
giuridico. Oggi lo si vorrebbe far funzionare solo per chi lotta per
migliori condizioni di lavoro e per una vita migliore e così esso si
svela per quello che è, strumento di riproduzione del dominio di chi
sfrutta su chi è sfruttato. Alla pura affermazione di se stesso che fa il
potere, va contrapposta la volontà individuale e collettiva che prescinde
dal binomio legittimo/illegittimo e pone libertà uguaglianza solidarietà
come metodo e scopo della propria azione.
Simone Bisacca
Da "Umanità Nova" n. 41 del 14 dicembre 2003
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