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(it) Umanità Nova n.28: Cile: tra la memoria di ieri e le lotte di oggi

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Date Mon, 15 Sep 2003 18:31:18 +0200 (CEST)


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Il mio 11 settembre
A colloquio con Urbano, esule cileno anarchico

Vicente Taquias Vergara in questi lunghi anni lo abbiamo
conosciuto in molti. Ma per tutti lui è Urbano, il nome con cui
era conosciuto nel suo paese di origine, il Cile. Un Cile che
Urbano non vede dal lontano 1974, quando, dopo aver occupato con
altri l'ambasciata italiana a Santiago, giunse esule nel nostro
paese. Inarrestabile nel suo impegno contro la dittatura di
Pinochet, Urbano che oggi aderisce alla Federazione Anarchica,
ce lo siamo trovato a fianco nelle lotte per la difesa
dell'ambiente, per la libertà dei migranti, contro ogni forma di
oppressione.

In questo trentennale del golpe che precipitò il suo paese nella
più crudele e sanguinaria delle dittature, il giorno dopo la
bella manifestazione svoltasi a La Spezia per ricordare tutte le
vittime della ferocia degli stati, lo incontriamo a Carrara,
dove ha vissuto a lungo nei primi anni del suo esilio prima di
trasferirsi nell'alessandrino.

Due anni orsono, quando due aerei di linea si abbatterono sulle
Torri gemelle di New York, causandone il crollo ed uccidendo
migliaia di persone, alte si levarono le grida dei media di
regime contro il cosiddetto "terrorismo internazionale". Ai
tanti cui non difettava la memoria la mente corse ad un altro 11
settembre, il cui ricordo è impresso indelebilmente nel DNA di
una generazione di compagni. Era il 1973. A Santiago venne
bombardata la Moneda, il palazzo del governo presieduto dal
socialista Allende, che vi trovò la morte. Poi la repressione
passò nei barrios, nei quartieri della periferia, dove il popolo
delle baracche aveva occupato le case in muratura destinate ai
militari. Urbano, che una casa vera non l'aveva mai conosciuta
sin dalla più tenera infanzia, aveva occupato con la famiglia
una casa nel quartiere "Poblacion Guatemala". Ma era difficile
trovarcelo perché lui come tanti passava gran parte del tempo
negli accampamenti dei senza casa dove si programmavano le lotte
per nuove occupazioni di terre e case. Contro il percorso di
libertà e dignità di un popolo si abbatté il terrorismo dei
militari sostenuti dal governo statunitense.

Chiediamo ad Urbano di raccontarci il suo 11 settembre.

"All'epoca io ed altri compagni eravamo già in clandestinità: il
governo Allende ci perseguitava per le occupazioni di terre e la
guerra contro il mercato nero. Nel sud di Santiago, una zona che
era cresciuta sin dagli anni '50 con le occupazioni di terre
demaniali e dei latifondi, nel 1971 abbiamo iniziato
l'autogestione della distribuzione di alimenti alla popolazione.
Abbiamo così pestato molti autorevoli piedi: in primo luogo
quello dei padroni della distribuzione ma anche quelli dei
Partiti socialista e comunista che intendevano gestire in comune
con i commercianti la distribuzione del cibo, imponendo prezzi
esosissimi, mentre l'autogestione garantiva prezzi equi per
tutti. Lo stesso programma governativo per le terre abbandonate
privilegiava nei fatti i militanti socialisti e comunisti,
tenendo fuori tanta parte della popolazione. Questa situazione
ci ha cacciato nella clandestinità: il governo Allende dichiarò
illegali le nostre attività e le organizzazioni libertarie.
All'epoca eravamo impegnati anche sul fronte della solidarietà
internazionale con gli esuli provenienti da tutto il Sud America
perché perseguitati nei loro paesi. Il governo socialista cileno
non concedeva loro asilo politico: questi compagni lo ottenevano
da noi. Erano ospitati nei quartieri occupati e lottavano al
nostro fianco per le libertà ed i diritti di tutti. Il governo
ci considerava alla stregua di delinquenti comuni e ci
perseguitava: il nostro rifugio erano i quartieri occupati, dove
la gente ci ospitava e proteggeva.

Prima dell'11 settembre ormai in tanti sapevamo che il golpe era
imminente. Nei mesi precedenti era passata una legge sul
controllo delle armi, la cosiddetta "Ley Maldita" che lo stesso
Allende aveva consentito: ufficialmente doveva servire per
disarmare i fascisti che attaccavano le zone popolari ma, nei
fatti, la legge venne applicata solo contro di noi, contro i
sindacati, contro il "cordone industriale" delle fabbriche
occupate e dei quartieri autogestiti. In realtà noi non eravamo
armati: il governo socialista non aprì mai i suoi arsenali al
popolo che, quando avvenne il golpe, non aveva che poche vecchie
pistole.

Quell'11 settembre ero a casa di un compagno. Appena vengo a
sapere che il sollevamento militare era iniziato mi reco alla
"La Bandera" uno dei tanti quartieri occupati. Con la gente
raccogliamo le armi disponibili: saltano fuori una quarantina di
pistole. Poi smontiamo la baracca della distribuzione
autogestita, consegnando alla popolazione tutte le derrate che
vi erano custodite. Con le armi a disposizione iniziamo la
resistenza, passando da un barrio all'altro nell'intera zona
sud. La battaglia più dura si farà nel quartiere "La Legua",
quello dove sono nato io, lì i lavoratori di una fabbrica
tessile occupata, la Sumar, che si erano opposti a colpi di arma
da fuoco alla consegna delle armi imposta dai militari,
resisteranno a lungo. Per rastrellare "La Legua" i militari
impiegheranno ben tre reggimenti, carri armati, aerei per
stroncare la resistenza popolare. Finirà con un massacro: oltre
400 saranno le vittime della loro ferocia.

Io ed altri continuiamo a raccogliere armi, passando attraverso
i vari quartieri e ponendo le basi di una resistenza, che
soffocata nel sangue la lotta popolare, diviene presto
clandestina. La cassa delle distribuzioni autogestite ci servirà
per finanziare la lotta clandestina contro la dittatura. I soldi
resteranno a lungo presso un compagno, un calzolaio come me,
prima di essere consegnati ai compagni in clandestinità, per
contribuire a tessere una rete di opposizione e per aiutare a
fuggire e dare sostegno alle famiglie dei ricercati.

Il 27 settembre vengo arrestato nel quartiere "Guatemala". Nel
rastrellamento veniamo catturati in 32 e portati ad un campo di
concentramento dell'aviazione a San Bernardo, nei pressi di
Santiago.

Cosa ti capita?

"Vengo torturato, sottoposto ad una finta fucilazione per
obbligarmi a parlare, a fare i nomi dei compagni e dire dove si
trovano. Dopo 3 giorni io e gli altri 32 veniamo portati allo
Stadio Nazionale dove erano rinchiusi migliaia di oppositori.
Veniamo nuovamente sottoposti a tortura e messi nell'elenco di
quelli destinati alla fucilazione.

Sono stato fortunato: proprio in quei giorni il grande clamore
suscitato a livello internazionale dai massacri di Pinochet
induce le Nazioni Unite ad inviare una Commissione per
verificare la violazione dei diritti umani. Pinochet fa
un'operazione di facciata: mentre le fucilazioni continuano
nell'intero paese decide di liberare di fronte alla stampa
alcune centinaia di persone. Io e gli altri 32 veniamo
rilasciati. Mi guardo bene dal ripresentarmi in caserma, come
prescritto al momento del rilascio, e torno in clandestinità
sino alla fine del '74."

Sono passati trent'anni da quei giorni terribili. In Cile vi è
un governo democratico. Come vivi questo anniversario?

"Dopo trent'anni in Cile è ancora in vigore, nonostante il
"ritorno" della democrazia, la costituzione voluta da Pinochet.
Lui ed i macellai del suo regime godono della più ampia
immunità. All'approssimarsi del trentennale il governo Lagos
intende promulgare un decreto legge, che con il pretesto di
gettare luce sui desaparecidos e di risarcire le famiglie di
fatto garantisce l'immunità ai militari.

I militari assassini che accetteranno di collaborare
nell'individuazione dei cadaveri degli scomparsi non verranno
processati. Quelli che, pur essendo già condannati con sentenza
definitiva, indicheranno il luogo dove è sepolto un assassinato,
oppure faranno i nomi dei responsabili, goderanno
dell'anonimato, vedranno ridotta la pena della metà, saranno
protetti come collaboratori. Chi ne facesse il nome verrebbe
invece perseguito. Questo progetto è sostenuto, oltre che dal
governo Lagos, dall'insieme dei partiti di destra, dalla chiesa
cattolica e, ovviamente, dai vertici dell'esercito. D'altra
parte Lagos si guarda bene dall'abrogare la legge di amnistia
promulgata nel '78 da Pinochet che sino ad oggi ha consentito
l'immunità ai responsabili del genocidio.

Per tappare la bocca ai famigliari delle vittime offre loro un
(peraltro ridicolo) risarcimento. Ma molti non ci stanno. 10
familiari di desaparecidos "Hijos" degli scomparsi, sostenuti
dalle associazioni degli esuli, degli ex detenuti, dai
sindacati, dagli studenti stanno attuando uno sciopero della
fame sin dal mese di agosto per denunciare questa legge di
impunità e per reclamare giustizia."

Urbano, tu non sei mai tornato nel tuo paese... Sappiamo che i
militari hanno condannato a morte te e tua sorella, un tuo
fratello morì sotto i colpi dei golpisti, ma oggi, dopo il
ritorno della democrazia, perché non torni in Cile?

"Probabilmente, dopo le condanne che mi hanno inflitto, mi
attende lì una galera democratica. Ma non è questo il vero
motivo per cui non torno. In Cile vige la stessa costituzione in
atto durante la dittatura, le condizioni di vita, di lavoro sono
sempre più gravi. Il recente "Pacto de adaptabilidad de la
jornada de trabajo" stabilisce la settimana lavorativa di 45 ore
settimanali medie su base annuale ma in realtà l'orario
lavorativo effettivo diventa di gran lunga superiore. Infatti si
stabilisce che non deve superare le 12 ore al giorno sino a 9
giorni consecutivi senza riposo o, se le esigenze della
produzione non lo richiedono, scendere a 2 ore giornaliere. Il
lavoratore diventa uno schiavo alle complete dipendenze del
datore di lavoro, la cui vita dovrà essere a completa
disposizione delle esigenze della produzione. Per legge. Senza
alcuna possibilità di contrattazione o conflitto. Il 13 agosto i
lavoratori in sciopero generale di protesta sono stati duramente
repressi: nelle varie piazze gli scioperanti sono stati caricati
violentemente dalla polizia.

Il Cile è il luogo della mia giovinezza, della lotta della prima
parte della mia vita. Oggi, dopo 28 anni di vita da esiliato, il
mio terreno di lotta, da anarchico ed internazionalista è qui
dove vivo, dove la "democrazia reale" non si mostra meno dura
verso chi le si oppone, cercando di costruire una società libera
e solidale.

A cura di Mortisia



Da "Umanità Nova" n. 28 del 14 settembre 2003

http://www.ecn.org/uenne/



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