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(it) Umanità Nova n.27 : Doggie Blair ed il caso Kelly
From
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Date
Tue, 9 Sep 2003 11:41:07 +0200 (CEST)
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Da "Umanità Nova" n. 27 del 7 settembre 2003
Cane a padrone: Doggie Blair ed il caso Kelly
Cane e padrone. Come il bellissimo racconto di Thomas Mann, così
potrebbe essere intitolata la meno bella vicenda che vede, oggi,
rimessa pesantemente in discussione la leadership, per il
momento solo morale, ma in futuro forse anche politica, del
premier inglese Tony Blair.
I fatti sono noti, ma può servire riassumerli a grandi linee.
Nella necessità di creare un clima guerresco presso le opinioni
pubbliche anglosassoni, tale da supportare l'intervento armato
in Iraq, il governo inglese e quello americano si sono
fortemente, e democraticamente, impegnati in un'opera di
disinformazione capace di far impallidire gli ex specialisti
sovietici. Nell'impossibilità palese, asserita anche dai
funzionari dell'Onu, di trovare le prove delle celeberrime armi
di distruzione di massa (delle quali, a cinque mesi
dall'occupazione militare, non si sono ancora trovate tracce), i
Servizi delle più nobili democrazie della terra hanno costruito
dossier terrificanti nei quali l'armata Brancaleone del Rais
veniva descritta come il quarto esercito più potente del mondo
(proprio come ai tempi della guerra contro la Serbia) e in
grado, neanche fosse composta da Mandrake e Lothar, di scatenare
micidiali epidemie gastroenteriche sul mondo intero in appena 45
minuti. Come si sa, se non c'è peggior sordo di chi non vuol
sentire, così non c'è peggior coglione di chi voglia essere
coglionato. E infatti, a dispetto della commovente ingenuità di
tali dichiarazioni, la maggioranza dei cittadini inglesi e
nordamericani (soprattutto questi ultimi, non c'è che dire),
essendosi già bevuti il cervello, si sono bevute anche tutte
queste patacche governative.
Scoppiata dunque, e vinta a man bassa la guerra, le cose
sarebbero dovute finire lì, e dei falsi dossier ci si sarebbe
dovuti dimenticare in fretta. Non erano certamente stati i
primi, non sarebbero stati gli ultimi, di bugie del potere è
lastricato il mondo, la ragion di stato deve prevalere, quando è
in gioco la libertà, bla, bla, bla. E invece...!
E invece è successo che la cosiddetta opera di normalizzazione
dell'Iraq è semplicemente disastrosa, che gli scontati
ritrovamenti di arsenali chimici sono là da venire, che il
sollevamento degli iracheni contro Saddam non c'è stato proprio,
e che dopo cinque mesi la guerra continua a fare morti e feriti
a un ritmo sempre più intollerabile. E allora i nodi cominciano
a venire al pettine. E con caratteristiche decisamente
differenti fra le due sponde dell'Atlantico.
Negli Stati Uniti il petroltrafficante Bush può ancora contare
su un solido, seppur più ridotto, sostegno popolare, sia perché
il popolo americano risente tuttora dello choc dell'11
settembre, e quindi lo spauracchio del nemico di turno resta
efficace, sia perché le famose commesse per la ricostruzione, e
quelle altrettanto sostanziose della commercializzazione del
petrolio iracheno, sono sempre più saldamente nelle mani degli
avvoltoi di Wall Street. A ben vedere, a parte il fastidioso
stillicidio di marines morti ammazzati, dei risultati ci sono, e
sono i risultati che fanno la differenza. Quanto durerà questa
luna di miele del popolo americano con Bush non è dato sapere,
ma se non farà qualche cappella tanto grossa che nessuno potrà
metterci riparo, questo mostro di intelligenza che siede alla
Casa Bianca non dovrebbe avere grossi problemi ancora per un
po'.
Discorso differente per il suo cagnolino laburista. Sarà perché
l'opinione pubblica inglese è meno tonta, sarà perché le regole
della democrazia britannica sono più antiche e collaudate, sarà
perché in Inghilterra c'è ancora qualche giornalista pubblico
che crede di essere davvero un giornalista "pubblico", sarà
perché c'è scappato il morto, sarà perché, stringi stringi, agli
inglesi non sta restando in mano neanche un fusto di benzina,
però è soprattutto perché non dovrà essere il padrone americano
a pagare il fio delle precorse menzogne, che sulla testa di Tony
Blair rischia di cadere una tegola in grado di fare molto male.
La squallida e tragica vicenda che ha condotto il premier
britannico a rispondere alle domande di una commissione di
inchiesta sul suo operato ci sembra, infatti, qualcosa più di
una sceneggiata recitata a beneficio di una opinione pubblica
inquieta. Se pure permane tutto il nostro più collaudato
scetticismo sulla effettiva possibilità che il potere giudichi
se stesso, anche quando commette plateali porcherie come in
questo caso, ci sembra comunque che le difficoltà di Blair
provengano, più che dalle sue concrete responsabilità nella
costruzione di prove false e nel "suicidio" del povero Kelly,
dal fatto che dovrà fungere (e chissà fino a che punto) da capro
espiatorio non solo dell'establishment britannico che ha
investito nella guerra, ma anche, e soprattutto, di quello
americano. Come dicevo poc'anzi, non è dato sapere quanto durerà
la luna di miele, però è certo che ci sono già abbastanza
variabili indipendenti a metterla in pericolo. Ed è altrettanto
certo che la partita che si sta giocando, nella ridefinizione
degli equilibri mondiali, è troppo importante perché la si possa
sacrificare sull'altare del rispetto delle regole
"democratiche".
Nel momento in cui il gioco si è incrinato, e dietro le crepe si
sono intraviste le infamie di cui sono capaci i potenti, l'unica
regola diventa quella di portare a casa la pelle. E il padrone
non ha bisogno di spiegare al cagnolino i motivi che lo spingono
a scaricare le responsabilità su di lui. Lo fa e basta, perché
quelli sono i rapporti di forza. E doggie Blair, questo, l'ha
sempre saputo.
Massimo Ortalli
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