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(it) Umanità Nova n.25: Lo stupro uniforme
From
worker-a-infos-it@ainfos.ca (Flow System)
Date
Tue, 8 Jul 2003 19:42:52 +0200 (CEST)
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Da "Umanità Nova" n. 25 del 6 luglio 2003
Lo stupro uniforme
"Si è parlato per lo più del numero degli stupri, di maschi
stupratori, di aborti, di figli, di armi e di crimini di guerra:
e la donna dove è finita? dove è visibile il suo essere, il suo
pensiero, il suo corpo ferito, la sua tragedia, la sofferenza
che l'accompagnerà tutta la vita, la sua possibilità di esistere
come soggetto durante e oltre la guerra?"
(Marina Padovese, da "Donne contro la guerra", 1996)
L'articolo di Rosaria su queste pagine (UN del 22 giugno)
riguardante lo stupro e la morte di due ragazzine irachene,
vittime sia dell'occupazione militare Usa che dell'oppressione
religiosa, meritava - non me ne voglia la redazione - la prima
pagina del nostro giornale, non per strumentalizzare
politicamente una tragedia umana di due giovani donne, ma in
quanto tale fatto é per molti aspetti paradigmatico.
Lo stupro, è innegabile, appartiene alla storia di tutte le
guerre e del militarismo, così come alla cultura di potere
maschile, ma assume altresì un significato ancora più lacerante
quando è compiuto da soldati appartenenti a contingenti militari
che di continuo la propaganda vuole presentarci come
democratici, umanitari, pacificatori e in difesa dei diritti dei
deboli.
Invece puntualmente in questi decenni abbiamo visto che dalla
Somalia alla Jugoslavia, dall'Afganistan all'Iraq, le truppe
delle missioni di pace - con o senza mandato Onu - si comportano
non diversamente dalla peggiore soldataglia mercenaria o da una
irregolare banda tribale.
Lo stupro appartiene intrinsecamente all'essere militare in
guerra e sovente è una "pratica" persino pianificata dai
comandi, così come si potrebbe ordinare un attacco o una
ritirata.
E che, nel 2003, tutto questo faccia ancora parte degli eserciti
degli Stati che si considerano più moderni, civili, liberi e
democratici, la dice certo lunga: il militarismo, con la sua
logica e la cultura, evidentemente è anche stupro, è
sopraffazione di genere.
Non si tratta di casi sporadici, di azioni commesse da pochi
depravati; basti ricordare i soldati italiani, dalla maschia
faccia pulita, responsabili di aver violentato giovani donne
somale e di aver torturato alcuni prigionieri. E le loro
dichiarazioni erano sconvolgenti, sia perché la donna somala per
loro contava meno di nulla sia perché tutto sommato ritenevano
quasi come uno scherzo da caserma aver fatto cose aberranti come
violare intimamente una persona con una granata e fotografarla
per poi riderci sopra con gli amici una volta tornati a casa.
E dietro questo orrore "normale", si stenta a comprendere che
l'uniforme che lo Stato consegna ad un uomo, con i suoi
meccanismi di subalternità e dominazione, è il più micidiale
coagulatore di ogni genere di violenza, in quanto ne assicura
l'impunità al punto da far diventare l'assassinio una
professione ammirata e retribuita, e permette all'uomo di
esercitare senza più filtri le sue tendenze
oppressive-distruttive nei confronti dell'essere donna.
In tale contesto la tanto propagandata presenza femminile
all'interno delle forze armate, non solo non modifica tale
struttura gerarchica e sessista, ma finisce solo per essere
l'alibi per continuare ad annientare gli inermi e a difendere i
potenti.
Per questo il nostro radicale antimilitarismo è tutt'altro che
anacronistico e diviene critica antiautoritaria generalizzata.
Sandra K.
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