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(it) Umanità Nova n.39: La santa "alleanza" tra Bush e Bin Laden

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Date Fri, 5 Dec 2003 12:05:56 +0100 (CET)


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Mondializzare l'inferno
La santa "alleanza" tra Bush e Bin Laden: Iraq, Palestina, Turchia...

Tra le varie menzogne utilizzate dall'amministrazione Bush per spingere
l'opinione pubblica americana a sostenere la guerra in Iraq, con il suo
carico sempre più oneroso di costi e di cadaveri, c'era la complicità
presunta tra Saddam e bin Laden, mai dimostrata, anzi improbabile visto
il ferreo nazionalismo pseudo-laico del regime baathista, ostile a
qualsiasi internazionalismo di matrice religiosa e per di più
fondamentalista, come quello predicato dai seguaci sunniti wahabiti dello
sceicco arabo. Lo spietato regime di Saddam, conosciuto sin dagli anni
'70 e '80, quando era fedele alleato dell'Occidente e pranzava assieme
all'allora segretario alla difesa di Reagan, tale Dick Cheney oggi
vicepresidente a stelle e strisce, controllava capillarmente
frontiere e territorio, impedendo ogni infiltrazione di elementi
stranieri potenzialmente sovversivi della sua dittatura. Del resto,
analogamente hanno fatto re Hussein di Giordania nel settembre del 1970,
quando ha eliminato la resistenza palestinese sul proprio
territorio, e nello stesso arco di decennio Assad in Siria, quando in una
settimana massacrò migliaia di fondamentalisti ostili al suo
regime.

Saltato Saddam, saltati i controlli capillari, ignoriamo se la
resistenza si sia saldata con gli elementi terroristici dei
fondamentalisti, ma senza dubbio l'Iraq è diventato uno spazio di
reclutamento per l'intero inferno mediorientale, rilanciando alla
grande un Bin Laden uscito (temporaneamente) sconfitto in Afganistan. Un
vero regalo per rientrare nel giro politico-mediatico del pianeta,
ossessionato dalla sicurezza giocata in chiave antidemocratica, con nuovi
ranghi, nuovo prestigio, nuove disponibilità (gli arsenali
presumibilmente celati dello scarso esercito iracheno), intatte risorse
finanziarie non colpite dalla guerra al terrore condotta manu militari,
come ha confessato l'Onu rammaricandosi del fallimento dell'operazione di
intelligence finanziaria contro le casseforti dello sceicco
fantasma. Insomma, Bush si è alleato con bin Laden per rilanciare alla
grande la guerra permanente che fa comodo, per opposte ragioni ma
medesimi obiettivi di potenza, ad entrambi, nella distinzione dei ruoli
antagonisti sullo stesso piano logico-simbolico dell'instaurazione di un
regime ferreo sul pianeta.

Nello scacchiere mediorientale si gioca attualmente la partita a lungo
termine, in cui il petrolio è la cartina dissuasiva delle poste in palio
- tra le quali la convergenza ancora una volta Bush-Bin Laden nella
destabilizzazione del regime saudita, per il primo colpevole di detenere
da sola la più grossa riserva mondiale di ricchezza
energetica, in condominio con le multinazionali americane, ma che
potrebbe rappresentare un boccone da gestire in proprio estromettendo
quei parassiti della cerchia saudita il cui clan familiare assomma a
qualche decina di migliaia di individui superprivilegiati e ricchi, da
sostituire un domani con qualche governatore fantoccio, muovendo da un
Iraq pacificato, occupato economicamente, svenduto agli Usa e che
fungerà da piattaforma americana non solo petrolifera per passare alla
mossa successiva; per il secondo colpevole di alto tradimento della causa
musulmana avendo consentito l'occupazione militare infedele nei luoghi
sacri dell'Islam, abbandonando a se stesso l'alto esponente
dell'ideologia sunnita che si era prestato per conto altrui a
stravolgere la propria esistenza dorata nelle vicinanze della reggia
saudita per dedicarsi anima e corpo alla causa musulmana.

In tale scacchiere, la questione palestinese è un aspetto di rilievo non
tanto per le povere aspettative di una élite nazional-borghese sul viale
del tramonto pur nel successo della propria strategia di lungo corso -
ormai la nascita dello stato palestinese, sia pure
bantustanizzato, è ipotesi non più avvenieristica ma realtà prossima -
quanto per l'improvvida ascesa della teologia politica islamica tra le
genti palestinesi, provocata dalle politiche israeliane e dalla
strategia mimetica americana di trovare un sostituto alla minaccia
sovietica caduta nello scorso decennio; regalare la causa palestinese al
fondamentalismo di Hamas e della Jihad islamica rende quella
polveriera ancor più appetibile nello scontro in atto come virus da
diffondere all'intera regione. I recenti attentati in Turchia ne sono una
tragica conferma.

Da un lato, infatti, la Turchia ha siglato negli anni novanta un
accordo strategico con Israele sulla cooperazione militare, commerciale e
soprattutto idrica, stringendo in una morsa i paesi arabi dall'area kurda
in giù sino alla Giordania, sempre più in difficoltà vista
l'eventualità di un assetamento equivalente a una dichiarazione di guerra
che a nord i turchi e a sud gli israeliani potrebbero scatenare come arma
di ricatto vera e propria (detto tra parentesi, su questo altare del
cinismo politico è caduto Ocalan e tutto il movimento
stalinista del Pkk, mollato dai siriani un attimo prima di rimanere
assetati). Lo indica in tal senso l'attacco alle sinagoghe, nella
follia del terrore che individua in esso l'arma bellica per
destabilizzare regimi, mondializzare l'inferno e dare una mano alla
coalizione dei volenterosi piuttosto belbettante, ossia riuscendo a
compattare il fronte occidentale dietro a Bush, e quindi in un certo
senso restituendogli il favore in un momento di difficoltà a tenere unite
gli alleati, i finanziatori riottosi, le opinioni pubbliche
pacifiste e non, e gli ossequi ipocriti ai formalismi dell'Onu.

Dall'altro, lo status di potenze occupanti di Usa, Gran Bretagna,
Italia e altre, checché ne dica la retorica umanitaria di peacekeeping
del partito unico nostrano, checché ne possa pensare Kofi Annan che la
copre con le stantie insegne delle risoluzioni delle Nazioni Unite che
già è costata la vita al suo Alto rappresentante per i diritti umani (il
brasiliano dal dorato futuro diplomatico Sergio Vieira de Mello), checché
ne dicano le Convenzioni dell'Aja (1907) e di Ginevra (1949), che vietano
le occupazioni militari e le pratiche di depredazione del territorio in
risorse e proprietà pubbliche come sta avvenendo in Iraq (e che ai sensi
del diritto internazionale non possono essere
assolutamente sanate da una risoluzione unanime del Consiglio di
sicurezza), espone tali paesi, i loro cittadini e le loro strutture
diplomatiche e simboliche alla controguerra del terrore, ad armi impari
ma dai medesimi impatti di morte e distruzione e lutti nazionali (di ogni
popolazione, se i media fossero realmente autonomi e indipendenti e non
scatenassero scorrettamente ondate emotive strumentalmente pro domo
propria...).

Così i recenti attentati a Istanbul sono esito diretto della guerra
globale permanente, i cui contendenti si rimbalzano a puntino i propri
gesti, come recitanti uno spartito concordato e puntualmente
simmetrico, nonostante la disparità delle forze in campo ma grazie alla
tecnologia unica dell'occidente ricco (che gli stessi fondamentalisti
così arretrati per un verso, non esitano d'altronde ad usare ai propri
fini); la pressione contro i regimi islamici moderati rientra
perfettamente nella tattica fondamentalista, sperimentata nel decennio
scorso in Algeria ed oggi diffusasi dappertutto grazie all'illogica
strategia militare che la replica ovunque. Forse per giustificare
l'immenso esproprio di ricchezza e libertà che il mondo sta subendo da
anni da una avida élite liberale e democratica, alleata con i peggiori
criminali del pianeta perché simili nelle logiche ma non nei vestiti che
indossano, tale guerra contro le popolazioni di ogni latitudine è l'unica
mossa che salda interessi criminali e possibilità di dominio sulla terra,
anche al costo di sacrificare vittime innocenti, di
inquinare l'aria del pianeta, di vanificare secoli di conflittualità
sociale pubblica, in ultima analisi di condannare ogni cittadino della
terra ad una morte orribile da qualunque prospettiva la sia guardi.

La guerra è il contraltare perfetto per un capitalismo criminale ed una
democrazia ipocrita e ingiusta, in cui destra e sinistra ormai possono
essere pronunciate intercambiabilmente solo come perfido aggettivo: la
furbizia astuta e grossolana di chi si finge abile approfittando della
forza a dismisura e la temibile pericolosità pubblica di una politica di
apparati elitari tesi a conquistare poteri e privilegi per sé e i proprio
accoliti, pagando il consenso con le vite altrui.

Salvo Vaccaro


Da "Umanità Nova" n. 39 del 30 novembre 2003
http://www.ecn.org/uenne/




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