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(it) Sicilia Libertaria: Analisi: La società della paura (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Sun, 12 Mar 2023 08:08:41 +0200


La pubblicazione nel 1986 del libro de Ulrich Beck, "La società del rischio", permise ridefinire la vita quotidiana delle grandi città postindustriali come luoghi dove l'equilibrio tra sicurezza e distruzione si rompe e le istituzioni dello stato non riescono più a gestire la complessità e quindi proteggere i cittadini. Senza dubbio si tratta di un'interessante chiave di lettura, anche se occorre tenere in conto che "i cittadini" a cui si allude erano fondamentalmente le classi medie, giacché i gruppi sociali subalterni e, in generale, i marginali, questa situazione la vivevano già come condizione, tanto in quanto al rischio come alla caduta dell'azione protettiva dello stato. L'importanza dell'opera di Beck sta nel richiamare l'attenzione sulla generalizzazione del rischio a tutta la società, con un corollario, la paura, che per l'autore potrebbe rappresentare la base di riferimento per la creazione di organizzazioni difensive. Non sembra che questo sia successo o, per lo meno, la paura sembra aver prodotto soprattutto reazioni discriminatorie, populismo e nazionalismi, generatori di violenza.

Paura è una reazione di ansia generata da un evento improvviso e inatteso, percepito come pericoloso per la propria integrità fisica. Tuttavia, può configurarsi anche come stato emotivo permanente, attivo in gradi differenti ma sempre presente nella coscienza individuale: la paura diventa endemica e generalizzata, una condizione dell'esistenza. A maggior complessità sociale, maggiori rischi: dal clima che non permette già troppe previsioni, alla mancanza di alimenti per tutti; paura di ammalarsi, ma anche di essere manipolati dai politici o da internet... L'incertezza si costituisce così come orizzonte di senso, finisce per definire la vita stessa, e l'azione non ha garanzie sicure di riuscita, con il pericolo di generare stanchezza e abulia, timore di agire, ma anche violenza. Nella "società della paura", come potremmo definire le attuali situazioni delle megalopoli, l'individuo si ritrova perso nel paesaggio che considerava sicuro, quello storico della propria infanzia, generatore di ancoraggio materiale per la costruzione della propria identità. Eppure, anche in questa generalizzata condizione, c'è chi ha più paura degli altri: i poveri, gli emarginati, i diversi e le donne. Come scriveva Javier Marías, "Le donne convivono da secoli con un supplemento di paura, quando scendono per strada e anche nelle loro case". Infatti, non è certo un caso che, in questa situazione di crisi sempre più profonda, la violenza sulle donne sia aumentata in modo esponenziale.

Generalmente, nella vita quotidiana, le società funzionano attraverso processi di abituazione e naturalizzazione: nel primo caso, si tratta di strutturare le azioni attraverso la ripetizione automatica; nel secondo, rendere naturali queste risposte, anche se costruite storicamente. Nelle "società della paura", quello che si naturalizza è la violenza, nelle sue varie declinazioni; mentre ci si abitua a comportamenti predatori, da parte degli aggressori, e di passività e accettazione, da parte degli aggrediti. Parlare di predazione risulta relativamente facile se alludiamo all'economia o mondo militare, un po' più difficile è farlo quando si tratta di relazioni umane, anche se i fatti sono quotidianamente sotto i nostri occhi, dal bullismo scolastico in forte aumento, alla violenza contro le donne e, in ogni caso, la facilità con cui in ambiti soprattutto maschili, scoppino le liti e la violenza. La reazione predatoria all'insicurezza del divenire, non implica la produzione della coscienza dello stato di paura, se non nei termini di un malessere innominato, proiettato fuori di sé, sugli altri: si diventa così insofferenti alla diversità, ma anche a piccoli cambi dell'orizzonte quotidiano, come sa qualunque donna che vede esplodere il marito perché non trova le proprie cose dove le aveva lasciate.

Differente è la situazione delle vittime o, in generale, dei soggetti che la società mantiene in stato di debolezza, siano migranti o poveri. In questo caso, vale quel "supplemento di paura" citato sopra, al di là del genere dell'altro, evidentemente, in cui la paura facilmente trabocca in vero e proprio timore costante di essere aggrediti. In effetti, per continuare a vivere, all'abituazione si associa un altro meccanismo: la dimenticanza temporanea, un processo superficiale di rimozione costante, chiaramente indotto dalla cultura delle società diseguali, che costruiscono la paura come meccanismo di controllo (fino a forme di alienazione, artificialmente indotte). Così le donne escono da casa, dimenticando in generale il rischio che corrono ogni giorno nel mischiarsi con la gente, dimenticano la paura di essere aggredite, anche se chi ha vissuto situazioni di violenza fatica a ignorare. Ma la paura sta sempre in agguato e chi si distrae, corre il rischio di diventare facile vittima. In questo modo, la paura si spazializza e si temporalizza nelle nostre città: ci sono luoghi sicuri e luoghi pericolosi, secondo le ore del giorno o della notte, differenziandosi secondo il genere di chi li frequenta. Questa violenza spaziale e temporale è prima di tutto simbolica, ma sappiamo che la frontiera con la violenza materiale è molto porosa, e un gesto o un insulto possono facilmente degenerare in accoltellamenti o violazioni. Sono ancora le donne che vedono così ridurre i loro spazi di deambulazione, anche se accompagnate dai loro uomini.

Rimane lo spazio privato come luogo tendenzialmente sicuro, sempre più somigliante a una fortezza assediata. Un luogo dove stare in pace e, finalmente, dimenticare la pressione sociale, maschile, che prospera nelle strade urbane. Purtroppo, i dati sulla violenza di genere indicano che non solo è in aumento, ma che nella maggior parte dei casi si tratta di violenza che si produce dentro la famiglia. Gli uomini picchiano e uccidono le donne a cui sono legati, molte volte le madri dei loro stessi figli. Così, per le donne, la paura non può restare fuori la porta della propria casa, giacché il nemico si è già infiltrato dentro di essa; anzi, loro stesse le hanno aperto la porta. Nella "società della paura", le relazioni sono strutturate in base alla violenza, anche se sotterranea, posizionale, negata. Ed è inutile girarci intorno: questa violenza è fondamentalmente maschile, come lo sono la gran parte degli omicidi della nostra società, come lo è la guerra.

Emanuele Amodio

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