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(it) Italy, Sicilia Libertaria: Siccità. Tra carenza e cattiva gestione dell'acqua - Non facciamo desertificare i nostri cervelli (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Sun, 28 Jul 2024 08:27:20 +0300


Ci sono articoli giornalistici che potrebbero già ora essere affidati all'intelligenza artificiale. Tra questi ci sono quelli che ripetono ogni anno gli stessi concetti, gli stessi dati, le stesse interviste. E in questo gruppo di articoli vanno annoverati, purtroppo, quelli sulla siccità e le carenze idriche della Sicilia. A leggere i drammatici reportage e le terribili testimonianze sull'assenza d'acqua ci assale immediatamente una sensazione di sconforto: sono storie che abbiamo sentito mille volte, perché ci accaniamo in questo ripetuto giorno della marmotta mentre la nostra isola si desertifica, letteralmente e simbolicamente? Nell'analisi di questo sciagurato 2024, che probabilmente consegneremo alla storia come la peggiore crisi idrica della Sicilia, va innanzitutto operata una divisione. Perché un conto è la siccità, intesa come carenza di piogge, un conto è la gestione dell'acqua.

L'assenza di piogge in Sicilia è uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico. Da un anno e mezzo ogni mese a livello globale si registra il record di temperature più alte, che poi è fondamentalmente lo stesso arco temporale in cui si è sviluppata la siccità sull'isola: già nel 2023 la mancanza della tradizionale "stagione delle piogge" nei mesi di ottobre e novembre aveva ridotto le scorte di acqua per la primavera del 2024, che si è rivelata a sua volta meno piovosa rispetto al solito. A febbraio, fatto mai avvenuto prima, la regione aveva chiesto e ottenuto lo stato di calamità naturale per via della siccità. E andando ancora più indietro nel tempo: lo abbiamo già dimenticato ma il record di temperature in Europa si è registrato a Floridia, in provincia di Siracusa, nel 2021, con il dato record di 48,8 gradi centigradi. Dal 2003 le precipitazioni sull'isola sono diminuite di oltre il 40%.

I segnali allarmanti insomma c'erano già tutti. Eppure dalla Sicilia non è partita una mobilitazione su questi temi. Né sull'adattamento climatico, vale a dire la riduzione dei danni e dei disagi causati dal riscaldamento globale, né sulla mitigazione, cioè la riduzione delle emissioni di gas serra che causano poi l'aumento delle temperature. Di acqua, in Sicilia, ce ne sarà sempre meno. Il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC) ha previsto che le ondate di calore e la siccità affliggeranno sempre più il Mediterraneo nei prossimi decenni. Già nel 2030, cioè tra pochissimi anni, un terzo delle aree siciliane assumerà tratti desertici. Di fronte a tali epocali trasformazioni è evidente che serve un rovesciamento dello status quo. Lo percepisce sulla propria pelle la popolazione, forse ciò non è ancora del tutto chiaro ai movimenti e ai gruppi di lotta. L'attivismo di stampo riformista, anche quello delle stesse associazioni ambientaliste, si affanna in questi mesi a individuare soluzioni che possano migliorare la gestione dell'acqua. Ma non fanno i conti con un fatto essenziale: si tratta di ipotesi che chi è al potere conosce benissimo. I documenti regionali e ministeriali sono pieni di indicazioni in tal senso.

Davvero serve ricordare che in Sicilia più del 50% dell'acqua pubblica si disperde per via di condutture logore e risalenti agli anni '50 del Novecento? Davvero serve ricordare che delle 26 dighe controllate dalla regione alcune risultano ancora in collaudo da più di 50 anni, e quindi finiscono per scaricare l'acqua appena si supera una certa soglia (meno della metà)? Davvero serve ricordare che i dissalatori voluti da Cuffaro sono durati appena una manciata di anni perché erano mal progettati, energivori e costosissimi? A nostro avviso non si tratta neppure, come ha fatto recentemente Repubblica Palermo, di segnalare che la politica siciliana in 17 anni ha avuto a disposizione tre miliardi e mezzo di euro per affrontare e risolvere il problema della siccità. Sull'acqua ci sono questioni ancora più impellenti da affrontare, e che invece vengono lasciate sempre sullo sfondo. Ad esempio i cosiddetti "padroncini delle autobotti", coloro per i quali ogni crisi idrica è un affare, con le persone costrette a pagare due bollette, quella pubblica e quella ai privati.

La Sicilia è piena di pozzi e riserve che però vengono gestiti in maniera mafiosa e paramafiosa, coi corsi d'acqua che vengono derubati e prosciugati. O ancora si possono citare le preziose riserve d'acqua che sono state regalate alle multinazionali in cambio delle solite mancette ai territori. Due sono gli esempi più eclatanti (ma se ne potrebbero fare tanti): l'acqua dei Monti Sicani che è stata ceduta nel 1999 alla Nestlè, che poi ce la rivende come Acqua Vera; la diga Ragoleto, gestita dall'Eni che preferisce utilizzarla per i propri impianti a Gela piuttosto che darla agli agricoltori nisseni.

L'ultimo esempio di urgenza non più rinviabile riguarda le cattive abitudini. E attenzione, qui non si vogliono colpevolizzare le singole persone, siamo ben lontani da ogni approccio moralista, ma ci sono alcuni scempi che non sono più accettabili: dall'utilizzo dell'acqua potabile per irrigare i campi o per uso sanitario alle piscine sparse nelle regge dei ricconi o negli alberghi (spesso col mare a due passi). I fronti di lotta non mancano. A patto di saper affrontare immobilismi deleteri ed equilibri pericolosi e allo stesso tempo convenienti. Perché un popolo ridotto alla sete è un popolo che continuerà a delegare. D'altra parte l'asciutta estate di quest'anno rischia di essere soltanto il preludio a peggioramenti ulteriori. Accanto alle scene terribili del prosciugamento del lago di Pergusa e alle minchiate sull'assenza dei turisti - defezioni che comunque ci sono state - va invece aggiunta una preoccupazione giunta dai tecnici della regione: se a inizio luglio gli invasi erano a una capacità del 25%, va da sé che il problema rischia di peggiorare a settembre. Finora l'acqua è mancata principalmente al settore agricolo, con il comparto delle Madonie che ha dovuto, o è stato obbligato, a rinunciare all'acqua per dissetare la città di Palermo e una provincia che da sola ospita circa un milione di persone. Ma di questo passo i rubinetti a secco potrebbero estendersi anche al capoluogo siciliano. Con conseguenze che si possono immaginare. Bisognerà farsi trovare pronti, a questa e alle prossime stagioni senz'acqua che verranno.

Andrea Turco

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