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(it) Italy, UCADI #186 - La Francia al bivio (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Sun, 28 Jul 2024 08:27:09 +0300


Ad urne appena chiuse Emanuel Macron ha giocato la sua ultima carta e a sciolto l'Assemblea nazionale mandando il paese alle urne. Si voterà su due turni rispettivamente il 30 giugno e il 7 luglio. Dovranno essere letti 577 deputati, uno per ogni circoscrizione elettorale; per ottenere la maggioranza assoluta all'Assemblea nazionale sono necessari 289 seggi. Si vota al primo turno per singoli collegi elettorali. Nel caso il candidato o la candidata non raggiungano la maggioranza assoluta si procede al secondo turno al quale partecipano i primi due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. Questo sistema elettorale fa sì che al dato relativo ai voti conseguiti dal partito o dalla coalizione a livello nazionale non corrisponda necessariamente quello della somma degli eletti nei singoli collegi delle circoscrizioni. Perciò è importante da un lato la scelta dei candidati e che essi godano di un consenso personale, dall'altro la capacità di accordi di coalizione e quelli di desistenza, in modo da consentire al candidato preferito di giunge al ballottaggio, essendo difficile che un partito o una coalizione sia maggioritaria nel collegio già al primo turno.
E qui emerge in tutta evidenza un primo motivo del disegno tattico del Presidente che, posto di fronte alla certificazione del calo di consensi nei confronti della sua coalizione, ha deciso di concedere un breve lasso di tempo per lo svolgimento delle elezioni, in modo da costringere gli avversari a repentine quanto non sperimentate coalizioni. Come è ovvio pensare si tratta di una mossa lungamente meditata, prima delle elezioni e da attuare nel caso poi verificatosi di una debacle elettorale dello schieramento macroniano.

Le ragioni profonde della crisi

Benché, soprattutto il secondo mandato di Macron si sia rivelato fallimentare sotto molti aspetti, al Presidente non occorreva un particolare acume per avere consapevolezza e conferma dei suoi fallimenti. Sul piano internazionale la sua politica si è caratterizza per il naufragio totale di quello che restava dell'impero francese e della francofonia. Il fallimento è stato palese, soprattutto nell'Africa centrale e nella fascia subsahariana, dove i diversi Stati francofoni, sostenuti dalla Francia, sono caduti uno dopo l'altro, sotto la spinta di colpi di Stato che hanno visto subentrare nel controllo del paese la Russia e in alcuni casi prevalere l'influenza economica cinese. Di fatto l'Africa francese non esiste più e i residui cascami della legione straniera sono stati poco cordialmente invitati a lasciare i vari paesi nei quali operavano per garantire gli interessi francesi. Questo spiega l'accanimento di Macron contro la Russia nella guerra Ucraina: in altre parole a Macron e ai francesi dell'Ucraina e del suo popolo non importa un fico secco, ma interessava e interessa invece punire la Russia per la sua ingerenza nelle excolonie francesi e per l'erosione apportata alla presenza e al ruolo internazionale della Francia in Africa. Quale migliore occasione per conseguire lo scopo che quella di farne pagare il costo ad altri e quello economico all'Europa! Come gli eventi africani dimostrano si tratta, tuttavia, di una strategia perdente e senza prospettive, perché oltre a condurre la propria campagna di guerra in Ucraina a tutto danno del popolo di quel paese, la Russia ha rafforzato la sua presenza in Africa, completando l'annientamento della presenza francese nel continente.
Quanto avventato in politica estera ha avuto ripercussioni sul piano interno, dove malgrado gli indubbi successi delle attività espansive del capitalismo francese, che tuttavia ha ormai da tempo carattere multinazionale, avendo mantenuto solo nella denominazione la sua denominazione, il costo sul piano finanziario di questa politica ha privato di risorse quella relativa al finanziamento del welfare e costretto il paese a dolose quanto impopolari riforme.
Non vi è francese che abbia dimenticato la strenua lotta delle forze sociali di sinistra e di destra contro la riforma delle pensioni, le manifestazioni oceaniche, le proteste, le mobilitazioni, stroncate con una pratica costituzionale discutibile, come l'applicazione dell'art. 49 della Costituzione che ha permesso al Presidente di imporre al di là del voto parlamentare le proprie scelte. Come ogni politico, Macron dovrebbe sapere che prima o poi i nodi vengono al pettine e i conti si pagano: gli elettori hanno tanti difetti, ma spesso una memoria da elefante quando si toccano le loro tasche e i loro diritti.
Altro grande errore del Presidente è stato quello di non capire che avallare la scelta di stornare fondi destinati all'agricoltura dal bilancio dell'Unione europea per il finanziamento della guerra Ucraina e al tempo stesso consentire l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione, lasciando che i suoi prodotti agricoli facessero concorrenza a quelli dell'agricoltura francese è stato ed è un errore imperdonabile, tanto più quando contemporaneamente si chiede loro di rispettare la politica green, di lasciare incolto parte del suolo coltivabile per effettuare la rotazione e tutelare l'ambiente, di porre limiti e di regolamentare l'allevamento, eliminando i sussidi per carburante agricolo e per il sostegno ai tanti pendolari costretti a spostarsi per supportare le attività economiche delle periferie di Francia, (gilet gialli) arreca un danno ai redditi che non si dimentica.
Questa carenza di fondi e di risorse ha inoltre impedito investimenti necessari nell'integrazione dell'emigrazione, ma soprattutto ha inciso sul funzionamento di un welfare finalizzato a sostenere una popolazione del paese che da decenni è ormai multietnica e multi religiosa. In particolare la ghettizzazione delle popolazioni di cultura e di provenienza da paesi islamici, costituisce oggi un problema che alimenta la destra e preoccupa il paese, spingendolo ad orientare il proprio voto contro il governo Nell'indicare i tanti fallimenti di Macron si potrebbe continuare, spostando l'analisi ad ogni attività del governo le cui scelte appaiono più che discutibili e foriere di un decadimento complessivo della nazione che si ripercuote sul suo ruolo in Europa e su quello internazionale.

La teoria dei giochi secondo Macron

Nell'intento di porre rimedio a questo disastro il Presidente gioca oggi ancora una volta la vecchia carta della destra ex gollista, illudendosi che apostrofare il Rassemblement nazional con il termine lepenista funzioni ancora da elemento di esclusione dal gioco democratico e finisca per rafforzare come male minore il centro macroniano in occasione delle elezioni e grazie al sistema del doppio turno. Ma questa volta il gioco potrebbe non riuscire considerando che questa volta la sinistra si presenta unitariamente nel Nouveau front populaire che guadagna consensi secondo i sondaggi e che cresce il numero dei francesi che intende recarsi alle urne, tutto questo mentre il raggruppamento di Macron, Renaissance, si colloca al terso posto.
C'è da dire poi che il cedimento dell'ex partito gollista e del suo Presidente Ciotti a superare ogni ritegno nell'allearsi con Marine Le Pen per rafforzare la destra fa il paio con quegli ebrei francesi che, spaventati dal sostegno alla Palestina e dall'islamismo riscoprono la loro collocazione di classe a destra e si affidano, per essere protetti. alla destra più estrema e ai nipoti degli aguzzini che accompagnarono i loro nonni nel nei campi di concentramento e nelle camere a gas. Quanto sta avvenendo dimostra che gli insegnamenti della storia possono essere dimenticati quando un pericolo immediato e presente bussa alla porta, facendo dimenticare ciò che è stato, ma potrebbe ancora essere, e facendo tabula rasa delle ragioni profonde che prima o poi tuttavia riemergono.
Nulla impedirà agli appartamenti al Rassemblement nazionale, ad elezioni finite, di dimenticare l'appoggio ricevuto e dedicare la loro attenzione ad islamici ed ebrei francesi, ricordandosi che sia gli ebrei che i palestinesi, in fondo, sono semiti. Hanno dimenticato come diceva Brecht che: "Prima di tutto vennero a prendere gli Zingari / e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei / e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, / e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, / ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, / e non c'era rimasto nessuno a protestare"
Solo dopo il secondo turno avremo il risultato vero di questo confronto elettorale e sapremo se la Francia è avviata ad una coabitazione fra il Presidente monarca e un'Assemblea nazionale che gli sarà ostile, sia che a gestirla sia la destra, che la sinistra. Ambedue questi schieramenti, se vincitori, non avranno le risorse per attuare gli ambiziosi programmi che ora presentano per contrapporsi alla politica macroniana, a meno che non capiscano che il loro primo obiettivo è mettere fine alla guerra, in Francia come in Europa, e destinare le risorse che si vorrebbero impiegare nel riarmo e nelle guerre, a investimenti a carattere sociale e al rafforzamento del welfare, indipendentemente dalle priorità che ognuno dei due schieramenti darà alla sua attuazione.
In Francia, come altrove, c'è oggi un problema crescente che sovrasta ogni altro, quello della distribuzione della ricchezza, delle crescenti diseguaglianze, delle sacche di povertà, sempre più ampie, della crescente ignoranza derivata dal fallimento delle istituzioni educative, dalla perdita di posti di lavoro derivante dalle ristrutturazioni aziendali e
dall'innovazione tecnologica, della crisi dei sistemi sanitari, dai problemi del mutamento climatico che bisognerà rendere compatibile con le necessità della produzione e del benessere della popolazione.
Da questa esperienza e da questo confronto la sinistra - a partire dalla Francia - deve uscire con proposte realistiche e praticabili, senza le quali è destinata alla sconfitta.

La Redazione

https://www.ucadi.org/2024/06/30/la-francia-al-bivio/
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