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(it) Italy, UCADI #167: LA LOTTA DI LUNGA DURATA DEGLI IRANIANI (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Wed, 15 Mar 2023 08:16:21 +0200


Sono ormai quattro mesi che le donne e gli uomini dell'Iran hanno ingaggiato la battaglia finale con il governo islamico del paese. L'intensità della lotta non accenna a calare, malgrado i morti per mano della polizia, di donne e di uomini, le impiccagioni, le migliaia di feriti, di donne stupriate, di torturati, di arresti e di repressione amministrativa dei manifestanti. ---- Le mobilitazioni e le manifestazioni di piazza, gli atti di disobbedienza civile ,invece di diminuire per gli effetti di una repressione sempre più brutale e assassina, si intensificano e si generalizzano sul territorio. Non solo, ma sulla paura della repressione prevale l'indignazione ogni volta che i quaranta giorni di lutto di una morte richiamano alla memoria le violenze subite, innescando l'escalation della repressione a fronte delle manifestazioni di popolo.
La posta in gioco è la libertà civile per il paese che al tempo stesso deve affrontare una crisi economica pesantissima, un peggioramento sostanziale del tenore di vita della sua popolazione, al crescere delle discriminazioni etniche tra la sua popolazione ed anche a quella delle diverse componenti religiose del paese, governato dall'ala più integralista e radicale del clero sciita.
Dopo quarant'anni di regime la misura sembra colma.
Stati e società occidentali blaterano di appoggio e sostegno al movimento di popolo, ma nei fatti non fanno nulla se non sostenere con qualche sporadica manifestazione della società civile il movimento e denunciare la repressione.
L'emigrazione politica iraniana è lasciata sola ad indignarsi, impotente.

Le ragioni del mancato sostegno

I motivi del mancato sostegno sono complessi e risiedono soprattutto nel rifiuto di affrontare in modo critico ed organico il problema del rapporto con il mondo islamico e quindi il problema palestinese, quello collaterale del popolo curdo, i problemi di gestione politica dei paesi sunniti, anche in relazione al loro rapporto con quelli a maggioranza sciita.
Porsi il problema del popolo palestinese di avere una sua terra e un'entità statale che lo rappresenti significa scontrarsi con Israele e gli interessi USA in Medio Oriente e questo, per ragioni politiche interne agli USA è molto difficile, anche per le implicazioni economiche e per le conseguenze geostrategiche. La recente repressione israeliana in Palestina ne è la prova tanto più alla luce del tentativo di Israele di utilizzare ogni crisi internazionale, in questo caso la guerra ucraina, per allargare l'espropriazione di terra e l'espulsione di palestinesi.
L'impossibilità anche solo di affrontare la questione palestinese è accompagnata e complicata per l'insensibilità verso il popolo curdo, utilizzato senza ritegno nella lotta anti Isis e poi abbandonato al massacro ad opera dei turchi, anche qui per ragioni geostrategiche. ma soprattutto politiche. E questo perché la realizzazione di un'entità politica che ricomprenda tutto il Kurdistan creerebbe un cuneo nel mondo islamico, sia sul piano territoriale, sottraendo territorio e risorse alla Turchia, all'Iran e all'Iraq, Alla Siria, nonché imporrebbe la ridefinizione dei confini territoriali come degli equilibri militari nell'area strategica mediorientale, scuoterebbe fin dalle fondamenta i rapporti di forze tra Stati sunniti e sciiti.
Ad esserne sconvolti sarebbero sia il ruolo che la gestione autocratica dei paesi islamici sunniti, delle loro autocrazie tribali, che vivono alleandosi al clero, forti dei proventi petroliferi e della estrazione del gas, divenuti ancora più strategici nel contesto degli schieramenti internazionali dopo la guerra ucraina, alleati organici degli Stati Uniti,
destabilizzando l'intera area mediorientale, tanto più che i curdi sono portatori di un progetto di società civile che ha dimostrato di saper combattere efficacemente il clericalismo, di saper promuovere l'emancipazione della donna e i diritti sociali, di saper liberare quelle popolazioni dalle contrapposizioni a base religiose grazie alla costruzione di una società nuova basata sulla laicità, l'uguaglianza di genere, l'autogestione.
Inoltre quanto avverrebbe nel mondo sunnita costringerebbe certamente anche i paesi a maggioranza sciita a guardare alle proprie strutture politiche e di potere, al ruolo del clero, al quello delle strutture sociali confessionali che hanno una funzione strategica sull'economia di quei paesi. Una revisione di questi rapporti ed equilibri coinvolgerebbe troppi interessi, il che si traduce in un sostegno del regime attuale e ostacola il cambiamento. Solo la durata nel tempo della mobilitazione può aiutare il successo del movimento di lotta.

La Redazione

http://www.ucadi.org/2023/02/01/la-lotta-di-lunga-durata-degli-iraniani/
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