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(it) Sicilia Libertaria: SMANTELLARE LE FABBRICHE DI MORTE (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Fri, 3 Feb 2023 10:22:53 +0200
Lukoil Priolo. Basta con l'aggressione coloniale ---- Il 1° e del 28 dicembre
2022, con due decreti-legge di dubbia costituzionalità ed incerta compatibilità
con le norme europee - ma che il Parlamento a guida parafascista non mancherà di
convertire -, il governo Meloni ha operato il salvataggio dell'ISAB di Priolo e
delle altre fabbriche di morte del comprensorio Melilli-Priolo-Augusta,
sottraendole alla chiusura e alla procedura di sequestro che la Magistratura
siracusana, dopo oltre un decennio di denunce e tattiche dilatorie, aveva appena
avviato. La soluzione trovata è quanto di peggio si potesse immaginare. ---- Il
primo decreto, che è entrato in vigore il 6 dicembre scorso, all'indomani
dell'applicazione dell'embargo europeo sugli idrocarburi russi, prevede infatti
il commissariamento dello stabilimento da parte dello Stato che, per conto della
russa "Lukoil", dovrà per un biennio garantire gli stipendi ai dipendenti e
tentare di mantenere accesi gli impianti. Nel far questo potrà avvalersi di una
"società a controllo pubblico operante nel medesimo settore" (l'ENI). Il secondo
decreto, non ancora pubblicato, solleva gli amministratori dalla responsabilità
penale, consente la prosecuzione dell'attività - facendo prevalere su tutto il
"riconoscimento dell'interesse strategico nazionale" - e impone (?!) al giudice
non solo di consentire l'utilizzo dei beni sequestrati, senza entrare nel merito
del sequestro, ma di trovare egli stesso la quadra attraverso "le prescrizioni
necessarie" per un "bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività
produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul
luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente".
Alla mostruosità giuridica si accomuna l'ennesima beffa ambientale, considerato
che l'ISAB di Priolo è una fabbrica-killer, responsabile da decenni della
devastazione e dell'inquinamento da metalli pesanti di un largo tratto di costa e
di mare siciliano, con innumerevoli morti sul lavoro e per malattie polmonari,
tumori, malformazioni tra la popolazione locale, senza che tutt'oggi si sia mai
provveduto - nonostante denunce, sentenze penali e centinaia di milioni di euro
stanziati dallo Stato e dalla Comunità Europea - alla bonifica dei suoli e alla
depurazione delle acque. In tale contesto, non sorprende il patetico tentativo
effettuato dal governatore siciliano Schifani, esautorato "per incompetenza" dal
governo nazionale, d'intestarsi addirittura la "soluzione" della vicenda!
Sembra ripetersi la storia degli stabilimenti ENI di Gela e FIAT di Termini
Imerese dove l'intervento dello Stato e della Regione, col pretesto della difesa
dell'occupazione, si è tradotto in un fallimentare tentativo di riconversione
degli impianti e nella promessa di bonifiche mai realizzate, con miliardi di euro
sprecati a favore di aziende insolventi, sequestri "congelati", minacce di nuove
devastazioni (termovalorizzatori, impianti per la produzione e il trattamento del
gas naturale proveniente dal Nord Africa, ecc.), senza che l'occupazione e la
qualità dell'ambiente ne abbiano tratto un reale beneficio. L'intervento odierno
del governo Meloni impedisce di fatto la chiusura degli impianti di morte di
Priolo, la depurazione delle acque del golfo di Augusta e la rinaturalizzazione
integrale dei siti interessati - che sono di grande valore paesaggistico -,
lasciando un futuro occupazionale precario e "assistito" per poche migliaia di
addetti (i quali, anziché rimanere in attesa di nuove improbabili navi
petroliere, potrebbero più utilmente essere impiegati nei lavori di bonifica già
finanziati); delega inoltre alla maggiore azienda energivora italiana, l'ENI,
responsabile tra l'altro del disastro gelese, il compito di trovare alternative
farlocche allo stoccaggio di idrocarburi fossili e imbastire nuove speculazioni
nocive per lo sviluppo locale.
Il governo nazionale e il governo regionale, come si sa, sono nelle mani di amici
dell'ENI, dei fautori della rigassificazione, della termovalorizzazione e del
nucleare d'ultima generazione, e da loro non ci si può attendere alcuna
sensibilità nei confronti delle questioni ambientali in Sicilia. Di fronte a
tanta protervia e alla connivenza della stampa e dei politicanti sottomessi ai
poteri forti dell'economia nazionale, risulta insufficiente l'azione spiegata dai
pochi gruppi locali che da anni si battono contro questi impianti di morte e la
cui strategia, finora sempre perdente, si è basata sulla convinzione che si
potesse affidare allo Stato e alla magistratura la risoluzione dei problemi
vitali del territorio.
È ancor più "fuori luogo" oggi insistere su una riconversione industriale "soft"
dell'area, con fabbriche di biocarburanti e impianti energetici (gas) meno
invasivi, che però non risolvono, come è accaduto a Gela, il problema
occupazionale (l'hanno anzi incancrenito impedendo altri sbocchi) né quello degli
inquinanti, dato che restringono la prospettiva di una bonifica integrale dei
suoli e delle acque (a Gela, in otto anni, con 800 milioni di euro a
disposizione, l'ENI ha realizzato solo l'1% delle bonifiche "programmate"!) É
difatti proprio l'aspetto di area degradata a fare di questi siti di "interesse
nazionale" spazi disponibili per ulteriori future devastazioni, collegate ai
nuovi gasdotti con l'Africa, alle navi metaniere, a impianti per il trattamento
dei rifiuti ecc. Credere che lo Stato e i capitalisti da esso foraggiati vogliano
rinunciare per le loro esigenze, i loro mercati, i loro interessi geostrategici
alle opportunità che offre un territorio già avvelenato - sostituendovi altri
siti intatti sempre più difficili da reperire e trasformare -, è pura illusione.
Come lo è il pensare che megaimpianti centralizzati, che richiedono grandi aree,
ingenti capitali e consumo di suoli, possano essere ricondotti al controllo e
alla partecipazione delle comunità.
Noi crediamo invece, da sempre, che una lotta ambientalista in Sicilia non possa
prescindere da un'opposizione frontale ai progetti governativi e del capitale di
stravolgimento delle peculiarità naturali dei territori e di asservimento delle
comunità locali, e in particolare quelli che comportano pericoli per la vita e la
salute degli abitanti. Tutte le fabbriche di morte, gli impianti fortemente
inquinanti, le basi militari, anche gli edifici dismessi già simbolo di morte e
di guerra, i quali solitamente hanno devastato paesaggi e ambienti tra i più
belli dell'Isola, che erano e potrebbero tornare ad essere la promessa per uno
sviluppo autocentrato delle popolazioni, rispettoso dell'ambiente, con
alternative economiche legate alla terra e al mare, devono diventare proprietà
comune, aperta, accessibile a tutti. L'obiettivo ultimo della lotta non può
essere che l'OCCUPAZIONE (popolare e permanente) delle aree, la loro IMMEDIATA
BONIFICA, LA DISTRUZIONE E LO SMANTELLAMENTO degli impianti, in qualche specifico
caso il loro riuso a servizio delle comunità locali, la RINATURALIZZAZIONE dei
luoghi. Un diverso atteggiamento, di mediazione politica, di compromesso
economico, di collusione interessata, ritarderebbe o vanificherebbero questo
processo e riconsegnerebbe quegli stessi luoghi alla speculazione capitalistica e
al militarismo, ammantati di "verde" (mimetico) e di finta sostenibilità.
Occorre approfittare delle opportunità che si offrono in questo periodo di
sbandierata transizione ecologica ed energetica, di dismissioni industriali, di
smagliature nel sistema economico per tentare di sperimentare lotte radicali e
soluzioni alternative ai problemi annosi provocati dalla rapacità del blocco
politico-affaristico-mafioso che ancora domina in Sicilia.
Natale Musarra
https://www.sicilialibertaria.it/2023/01/10/smantellare-le-fabbriche-di-morte/
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