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(it) Italy, Sicilia Libertaria: La città a sei zampe (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Wed, 1 Feb 2023 08:34:03 +0200
La guerra in Ucraina non è stata soltanto l'evento che più ha contrassegnato il
2022 ma è stata anche, se non soprattutto, l'occasione per l'Italia di
ridisegnare i propri equilibri energetici all'insegna del rafforzamento dello
status quo basato sul capitalismo fossile. Nel 2021 l'Italia dipendeva per il 40%
dei consumi dai combustibili fossili provenienti dall'ex Unione Sovietica. Ora,
per sostituire il gas della Russia, diventata improvvisamente il nemico
dell'Occidente e della democrazia, si è scelto semplicemente di cambiare
spacciatore: nel corso dell'anno l'Algeria ad esempio è diventata il maggiore
fornitore di gas e il Qatar si candida a diventare il maggior fornitore di GNL,
il gas naturale liquefatto. In entrambi i casi il ruolo principale è giocato da
ENI. Basti pensare che il gasdotto che porta il gas dall'Algeria fino a Mazara
del Vallo porta il nome di Enrico Mattei, mentre sul Qatar è necessario citare il
progetto North Field East, in cui è coinvolto il cane a sei zampe, che è stato
definito dalla rivista Science Direct la "peggiore bomba climatica al mondo"
perché emetterà, secondo i calcoli di alcune università, circa un miliardo di
tonnellate di anidride carbonica equivalente all'anno. E dire che sono perfino
calcoli conservativi, perché sono state considerate soltanto le emissioni
derivanti dall'estrazione del gas nel Golfo Persico ma non quelle relative al
trasporto: per dirne una, dai giacimenti qatarioti al porto di Rovigo, dove
certamente verrà condotto quel gas, ci sono 7mila chilometri di distanza, con
relativo trasporto via nave e conseguenti emissioni aggiuntive.
È questo lo scenario internazionale che bisogna tenere bene a mente quando poi si
affrontano le questioni solo apparentemente locali. In questo senso il caso di
Gela è paradigmatico di un sistema energetico autoritario e predatore. Come
sostengo da tempo, Gela sta per diventare la capitale italiana del gas. Al
momento il gasdotto attivo è il GreenStream, poco conosciuto dalla stessa
popolazione perché fuori dai confini della città - si trova infatti lungo la
statale per Ragusa, subito dopo l'ex discarica di fosfogessi ISAF (in attesa del
completamento della bonifica da più di 20 anni). Il GreenStream è un gasdotto
lungo 520 chilometri che parte dalla costa libica di Mellitah, passa sotto il Mar
Mediterraneo e arriva poi a Gela, da dove il gas viene distribuito lungo la rete
nazionale gestita da Snam. Il Greenstream è in funzione dal 2004 e non ha mai
marciato a pieno regime: in teoria potrebbe trasportare fino a 10 miliardi di
metri cubi di gas all'anno ma in realtà, specie dopo la destituzione di Gheddafi
e lo scoppio della guerra civile in Libia, quando è andata bene ne ha trasportato
al massimo un terzo, rivelandosi dunque un'opera se non inutile quantomeno
fortemente ridimensionata. Non solo, poi, da quasi 20 anni il territorio di Gela
attende le compensazioni ambientali che erano state promesse con l'avvio
dell'opera - parliamo pur sempre di un'infrastruttura che è stata realizzata al
confine di un Sito di Interesse Nazionale e a due passi dalla riserva naturale
del Biviere. Inoltre il GreenStream non porta neanche lavoro, al contrario della
narrazione diffusa da ENI, sindacati e politica. Nel 2019 con l'associazione A
Sud abbiamo presentato, come facciamo da alcuni anni, alcune domande
all'assemblea degli azionisti di ENI e abbiamo chiesto il numero esatto delle
persone che lavorano al sito gelese del GreenStream, gestito al 50% da ENI e da
NOC, la compagnia di Stato libica. Quante sono dunque le persone necessarie a
gestire la manutenzione di un gasdotto del genere dopo la sua costruzione? Ben
12! Una simile prospettiva sembra delinearsi per il nascente gasdotto
Argo-Cassiopea, anche questo di proprietà di ENI e che nelle intenzioni del
governo servirà ad aumentare la produzione nazionale di gas. Dopo le ultime
autorizzazioni rilasciate a dicembre, tutto il 2023 servirà per costruire l'opera
e dal 2024 ci sarà la messa in produzione del giacimento che si trova lungo le
coste tra Gela e Licata. Da lì partirà un gasdotto sottomarino lungo 60
chilometri che porterà poi il gas estratto all'interno dell'ex raffineria dove
verrà compresso per essere distribuito, anche in questo caso, lungo la rete
nazionale. Non è un caso che negli ultimi tempi ENI abbia avviato una campagna
comunicativa molto intensa, con la ripetizione spasmodica di numeri sempre
uguali. Vale la pena soffermarsi su queste cifre. Il giacimento di Argo-Cassiopea
dovrebbe contenere oltre 10 miliardi di metri cubi di gas; anche dando per buone
queste stime, che di solito si rivelano più ottimistiche del reale, parliamo
certamente del giacimento più copioso a livello italiano ma che comunque vale un
settimo del consumo annuale di gas. L'altro numero sempre citato è quello
relativo ai posti di lavoro: ENI continua ad affermare che al gasdotto
Argo-Cassiopea lavoreranno fino a 900 persone. Dimentica però di specificare che
quel numero sarà relativo esclusivamente al 2023, cioè per i tempi di
realizzazione dell'infrastruttura, perché poi i numeri saranno simili a quelli
del GreenStream: i gasdotti, come è facile appurare, sono opere che una volta
realizzate "vanno da sé", nel senso che non hanno bisogno durante la gestione di
chissà quali competenze e manutenzioni.
C'è infine un terzo gasdotto che si vorrebbe realizzare, sempre a Gela e a
pochissima distanza sia dal GreenStream che da Argo-Cassiopea: si tratta del
Melita-Pipeline, in questo momento nella fase della valutazione di impatto
ambientale e che dovrebbe portare il gas dall'Italia all'isola di Malta. Giusto
per capirci: da una parte Argo-Cassiopea dal prossimo anno dovrebbe portare fino
a due miliardi di metri cubi di gas all'anno dalla Sicilia alle industrie
energivore del Nord, così come dichiarato sia dal governo Meloni che da ENI;
dall'altra la stessa quantità di gas andrebbe esportata verso Malta, per rendere
l'isola energeticamente autosostenibile. Il problema è che di tutti questi flussi
di gas Gela non ne trae alcun beneficio: non solo perché neppure una goccia di
questi tre gasdotti viene destinata al territorio, non solo perché le opere hanno
uno scarsissimo impatto lavorativo e al contempo un alto impatto ambientale, ma
anche perché tutte e tre le infrastrutture non destineranno un euro di royalties
al Comune, essendo costruite sul mare. Il passaggio dall'era del petrolio all'era
del gas conferma insomma Gela come una zona di sacrificio, per usare una
definizione efficace dell'ONU. Nel silenzio generale, infatti, ancora oggi ci
sono intere generazioni di operai che stanno morendo, decimate dai tumori
contratti all'interno dell'ex petrolchimico e dell'ex raffineria. Diventa urgente
agire per cambiare questo stato di cose, incidere in questa lunga fase di
transizione dal petrolio al gas affinché non si finisca per rimpiangere i "bei
tempi" di quando c'era lui, inteso come Enrico Mattei, non a caso già
strumentalizzato dalla destra in chiave patriottica e nazionalista.
Andrea Turco
https://www.sicilialibertaria.it/
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