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(it) Ancora su cosenza...

From worker-a-infos-it@ainfos.ca (Flow System)
Date Mon, 12 May 2003 10:48:44 +0200 (CEST)


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Da: Meletta <meletta@aconet.it>

From cobas taranto <cobastaranto@yahoo.it>

Ancora sulle inchieste di Cosenza (e Taranto, passando per Genova)
Lo scorso 7 maggio, si è svolta in corte di cassazione a Roma l'udienza
di discussione del ricorso presentato dal PM di Cosenza Fiordalisi contro
l'ordinanza di scarcerazione decisa dal tribunale della libertà di
Catanzaro. Nel corso dell'udienza, il procuratore generale, Veneziano,
rappresentante dell'accusa, aveva chiesto il rigetto di tutti i motivi
del ricorso del pm di Cosenza, aderendo di fatto alle richieste della
difesa, e soprattutto all'impostazione data dal tribunale della libertà
nell'ordinanza di liberazione. I difensori avevano ovviamente
sottolineato la inammissibilità del ricorso del pm, basato su
un'interpretazione dei reati associativi di cospirazione politica e di
associazione sovversiva totalmente aderente alla relazione introduttiva
del codice Rocco, datata 1930 (!).

Incredibilmente, la I sezione penale della corte di cassazione, dopo
svariate ore di camera di consiglio, ha accolto il ricorso del pm per un
motivo procedurale, ossia la violazione dell'art. 25 della costituzione.
Secondo quanto sostiene il pm di Cosenza, i giudici del tribunale della
libertà che hanno emesso l'ordinanza di scarcerazione si erano
&quot;autonominati&quot; giudici di quel processo che, invece, in base
alle tabelle interne del tribunale di Catanzaro, avrebbe dovuto essere
assegnato ad un altro collegio. Con questa inaspettata decisione, la
corte di cassazione praticamente contraddice la sua stessa giurisprudenza
relativa a tale questione, sempre considerata una mera questione interna
di ufficio non determinante alcun motivo di nullità degli atti
compiuti.

Così ora il fascicolo torna al tribunale della libertà di Catanzaro che,
composto da giudici diversi da quelli del 29 novembre 2002, dovrà
riesaminare nuovamente l'ordinanza di custodia cautelare del gip di
Cosenza. In realtà fino al momento dell'emissione delle motivazioni della
corte di cassazione, che avverrà nel giro di un mese circa, non si può
prevedere a quali limiti e principi dovrà attenersi il &quot;nuovo&quot;
tribunale della libertà di Catanzaro. Infatti, nel caso in cui – come
purtroppo è immaginabile – la cassazione si limitasse ad accogliere il
motivo del ricorso del pm senza entrare nel merito delle accuse mosse ai
compagni, il nuovo collegio del tribunale della libertà di Catanzaro avrà
mano libera nel riesaminare completamente tutta l'inchiesta, magari
pervenendo ad una decisione differente dalla prima ordinanza (quella
annullata, per intenderci) che scarcerò i compagni ritenendo non
sussistente il reato di associazione sovversiva per la rete del Sud
ribelle.

Nella stessa giornata gli avvocati hanno discusso anche i ricorsi,
inoltrati dai difensori, contro le ordinanze del tribunale della libertà
di Genova che, nel dicembre 2002, decise di mantenere in galera tutti i
compagni arrestati per ordine di quella procura. In particolare, si sono
discusse le posizioni di Alberto Funaro (Fagiolino) di Roma, Vincenzo
Vecchi di Milano, e Carlo Cuccomarino di Reggio Calabria. Lo stesso
procuratore Veneziano, tanto ligio al rispetto della costituzione nella
prima discussione, quando si è trattato di affrontare i fatti di Genova
2001, non ha esitato un solo istante a chiedere il rigetto totale dei
ricorsi dei difensori, sostenendo che "Genova è un'altra
cosa".

Nonostante le motivazioni a supporto dei ricorsi dei difensori,
soprattutto per quanto riguarda la violazione dell'articolo del codice di
procedura penale che riguarda le esigenze cautelari (che a quasi due anni
dai fatti non possono essere considerate sussistenti), sempre la I
sezione penale della corte di cassazione ha rigettato in toto i tre
ricorsi, ritenendoli inammissibili. Le motivazioni sono ancora
sconosciute, ma per chi non lo sapesse basti dire che la I sezione penale
è la stessa corte che nel caso dei poliziotti di Napoli - mandati agli
arresti domiciliari per il sequestro di persona dei compagni ricoverati
nell'ospedale dopo gli scontri e per le violenze brutali perpetrate nella
caserma Raniero nel marzo 2001 -, affermò che "ad oltre un anno e
mezzo dai fatti, in mancanza di altri pericoli, non si può tenere nessuno
in stato di detenzione".

Ricordiamo, invece, che in stato di detenzione, in forma di carcere,
arresti domiciliari, obblighi di firma, di soggiorno, etc., si trovano
ancora tutti gli indagati dell'inchiesta genovese del dicembre
2002.

Nel frattempo, continua l'inchiesta della procura tarantina contro i
Cobas, che portò agli arresti domiciliari nove compagni, esattamente un
anno fa e che ha poi costituito parte integrante dell'inchesta di
Cosenza. Paradossalmente, i pm di Taranto, Di Giorgio e Perrone, avevano
convocato per il 9 maggio gli indagati e i loro difensori in procura per
procedere ad un "accertamento tecnico irripetibile" per l'esame
dei files contenuti nei computers sequestrati &quot;appena&quot; un anno
fa (!). Violando l'evidenza delle cose, e il codice di procedura penale,
che prevede questo tipo di accertamento in caso di cose soggette a
modificazione e/o deperimento (come per esempio…un chilo di cozze!!!), i
due pm hanno cercato di far entrare nel processo degli atti senza
rispettare le procedure e le garanzie previste per la difesa. Ovviamente
i difensori si sono opposti al compimento dell'accertamento, e tutto è
stato rinviato alla decisione del gip che si pronuncerà nel prossimo
futuro. E' chiaro l'intento persecutorio nei cofronti dei compagni di
Taranto, che ancora non hanno potuto recuperare tutti gli oggetti
sequestrati ad un anno di distanza, visti i "giochini" e la
lentezze degli inquirenti…Per non parlare dell'atteggiamento tracotante e
provocatorio tenuto dai due pm nel corso dell'udienza del 9 maggio,
quando – in dispregio di ogni norma procedurale e di ogni forma di
correttezza professionale – evidentemente infastiditi dall'opposizione
presentata dai difensori, hanno proceduto a redigere il verbale
dell'udienza senza nemmeno far entrare nella stanza gli avvocati (!!),
che aspettavano da più di un'ora nel corridoio…

A questo punto abbiamo un paio di considerazioni da fare.

La prima deriva dalla constatazione che ad un anno ormai di distanza
dall'inizio di queste vicende, a volte sembra quasi che non sia successo
niente, se dovessimo basarci sulle reazioni e sulle valutazioni che
ancora oggi una non marginale parte del movimento sembra dare di queste
inchieste, e degli scenari che, piaccia o meno, hanno aperto.

Ci sembra infatti un segnale da non sottovalutare la mancata riuscita del
presidio convocato in concomitanza con l'udienza in cassazione. Non
vogliamo soffermarci sull'ovvietà delle conclusioni che possono trarsi
mettendo in relazione quest'ultima evidente dimostrazione di sottrazione
con le precedenti occasioni in cui si è data ampia dimostrazione di non
voler assumere anche questo come terreno di lotta dal quale non
retrocedere. Però ci lascia abbastanza perplessi il fatto che ancora oggi
la "tattica dello struzzo" sia ancora così fortemente adottata,
anche se mai rivendicata apertamente.

Tanto per capirsi: abbiamo chiesto in questi mesi in ogni occasione un
confronto con le soggettività più diverse, che non è mai arrivato (a
parte, ovviamente, quelle politicamente a noi più vicine). Eppure le
occasioni non sono certo mancate, a partire dalla costruzione delle
mobilitazioni contro la guerra o la campagna referendaria che si avvia a
conclusione, per citarne solo due tra le più significative. Non si è mai
trattato, per parte nostra, di ricercare attraverso equilibrismi e
tatticismi, impossibili vicinanze politiche, e nemmeno metastorici
frontismi "contro la repressione" o "contro le
destre". Più semplicemente e più modestamente abbiamo ritenuto, e
riteniamo, di non precludere uno sbocco coerentemente anticapitalista
alle lotte ed alle mobilitazioni che in questi ultimi anni hanno
attraversato un corpo sociale che si voleva reso ormai completamente
asfittico da oltre un ventennio di sconfitte. Ma che invece ha spiazzato
tutte le soggettività politiche già definite – noi per primi. Ma di
questo non abbiamo mai fatto mistero, questo è il nostro contributo alla
ripresa ed all'allargamento del conflitto sociale in questo paese.

Nessuna recriminazione, quindi: dalle rape non si può cavar sangue.
Quello che però sta diventando insopportabile è lo sfacciato
doppiopesismo di chi pur continuando a proclamarsi anticapitalista ed
antisistema, pur continuando a parlare di "processo di fase"
che "porterà ad un allargamento del conflitto", continua invece
ad eludere le occasioni di confronto sui contenuti, in nome di
improponibili "inciuci"- se ci passate il termine - col
centrosinistra. Non ci appassionano le facili polemiche e non è nostro
costume (per lo meno cerchiamo di fare in modo che non lo sia) sindacare
le scelte altrui. Per noi la scelta filo istituzionale (elettorale) oggi
come oggi, non è solo politicamente sbagliata, è un'idiozia pura, ma non
saremo certo noi a lanciare anatemi e scomuniche verso chi la compie, a
patto che queste scelte siano consapevoli e ce ne si assuma tutte le
responsabilità e conseguenze. E che soprattutto non diventino terreno di
scambio.

Detto questo, e assunto il fatto che le inchieste andranno avanti, queste
come altre, proprio perché è evidente l'obiettivo di dividere non tanto
le soggettività organizzate quanto le masse (o le moltitudini, se
preferite…) di cittadini, lavoratori, studenti e disoccupati che si sono
espresse nelle ultime grandi mobilitazioni, è a nostro avviso prioritario
che il dibattito torni nei giusti binari e che il movimento in tutte le
sue componenti e sfaccettature assuma, insieme alle altre, una battaglia
per il ripristino di un generale sistema di garanzie e diritti.

Legare alla battaglia sull'art.18 la campagna di verità su Genova e
Napoli significa cominciare a far vivere una piattaforma generale che,
con le parole d'ordine della salvaguardia e dell'estensione dei diritti,
offra obiettivi e terreni unificanti ai milioni di persone che rifiutano
la globalizzazione liberista. Legare queste battaglie ad una vertenza più
generale sul salario e sul reddito, dentro il quadro delle modifiche
fattuali e formali prodotte dal processo di costruzione dell'Unione
Europea, consente di guardare alla rinnovata "questione
meridionale" affrontandola dal punto di vista dei "sud del
mondo" che la globalizzazione moltiplica a dismisura. Assumere
collettivamente una battaglia decisa contro le privatizzazioni – scuola,
sanità, energia, trasporti, telecomunicazioni, acqua, casa…ecc -
significa far vivere quel "movimento reale" che da Seattle in
avanti ha prodotto quanto ha poi trovato forma organizzativa nei Forum
Sociali Mondiali, e costituisce l'unico antidoto reale alla rabbiosa
reazione del capitalismo occidentale, di cui la repressione delle lotte
nel nostro Paese non è che uno degli aspetti che sta vistosamente
evolvendosi.

Taranto, 10/5/2003
Confederazione COBAS




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