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(it) Contropotere n.11 : Teatri di Guerra

From worker-a-infos-it@ainfos.ca (Flow System)
Date Tue, 6 May 2003 18:19:02 +0200 (CEST)


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Pace non vuol dire solo “niente guerra” (Badboys)
Il diluvio della merce ha raso al suolo le mura che difendevano il
capitale da se stesso e dal suo precipitare. Qui, in occidente,
propaganda – in seguito alla costante perdita di legittimazione – la
paura e il terrore di “ciò che può capitare”, alla stregua di una
famiglia mafiosa, per venderci il rimedio (ovvero il capitale stesso)
contro i pericoli che ci aspettano fuori della porta di casa, alle
mura della città, ai confini della nazione.

Altrove, in luoghi che sembrano così lontani, erige nuove muraglie
per proteggere, sulle nuove frontiere, l’impero della merce (che è
entrata prepotentemente nei rapporti, sgretolando totalmente il senso
di comunità e diventandone il simulacro). Come un parassita in cerca
di nuova linfa vitale, riproduce e impone i meccanismi che tengono in
piedi il sistema economico spostandosi sul pianeta in cerca di risorse
e consenso, con tutti i mezzi che ha a sua disposizione. Una delle
metodologie costanti dell’economia è il saccheggio; chiamare questo
saccheggio “guerra al terrorismo” o, con un misero eufemismo, “missione
di pace” poco importa...ciò che mi spaventa non è certo uno stupido
gioco di parole. Quello che mi spaventa è l’ostinazione a perpetuare
un sistema basato su dominio e sfruttamento che già deve fare i conti
con il suo inevitabile decadere. Ciò che mi fa paura è la miopia di
certi calderoni movimentistici.

Non c’è, in effetti, il bisogno di veder volare, sulle proprie teste,
i B/52 per sentirsi in guerra: i bisogni indotti, il costante
bombardamento mediatico, non sono forse atti di guerra? Come chiamare
la condizione del popolo Rom, uno dei pochi popoli al mondo a non avere
un esercito, se non una persecuzione e come tale, un atto di guerra?
E l’orrore dell’alienazione urbana, Scampia e le 167 (due zone del
napoletano) sparse in giro, mostruosità concepite non per accogliere
e unire, ma per creare alienazione e isolamento? E il carcere con tutti
i suoi regimi speciali che vorrebbero ridurre al silenzio chi non
accetta questo stato di cose e che rinchiude chi, con la propria
presenza, rappresenta tutto ciò che i bravi cittadini reprimono e
soffocano per bene nel loro subconscio (occhio non vede…)? Ma basta
vedere che fine hanno fatto l’Arte e la Cultura, che da mezzi che
potevano preannunciarci soluzioni futuribili sono diventati pilastri
fondamentali sui quali poggiare le tavole del consenso e della rassegnata
accettazione…questa non è guerra?

Intanto, i nostri corpi, reclusi tra i confini della proprietà, si
rattrappiscono insieme al senso di comunità, proprio di un animale
sociale qual è l’umano, diventando estensione delle case farmaceutiche,
ricettacolo di veleni, meccanico organismo programmato per la produzione
e la riproduzione, rinchiusi tra le mura di caserme/carceri a cielo
aperto che chiamiamo “città”. In questo scenario, lo spettacolo pacifista
risulta variopinto quanto inefficace in quanto focalizza l’attenzione
su un punto parziale (per quanto terribilmente importante): la guerra
in Iraq, cioè questa guerra, quando la guerra è le due torri crollate
quanto il telegiornale, quanto la sveglia che rompe i coglioni alle sei
e mezza del mattino e mi ricorda che devo essere produttivo e, per giunta,
consenziente. Per non parlare delle telecamere nascoste che infestano le
strade, la cattiva alimentazione, lo spettacolo dei G8 e “la ruota della
fortuna”…

E allora, a conti fatti, perché accontentarsi di poco? Se la causa di
ogni guerra, della logica della guerra, è il discorso stesso dell’economia
(il capitale) che s’impone con brutale violenza sulla vita e su tutte le
sue sane e naturali manifestazioni. Perché accontentarsi di bloccare solo
treni che trasportano materiale bellico? Che senso ha boicottare solo
prodotti statunitensi o israeliani? Che si blocchino le banche, piuttosto.
Le industrie, i pozzi d’estrazione e le miniere, i laboratori di ricerca,
le televisioni e tutto quello che contribuisce a mantenere presenti lalogica della guerra e la paura di vivere. Solo diversificando l’azione
si può sperare di ottenere qualcosa. Facciamola finita con i teatrini.
Adottiamo l’azione diretta, il sabotaggio e il boicottaggio contro tutti
i “signori” della guerra, ovunque siano e qualunque faccia abbiano, con
ogni mezzo necessario e con le più svariate forme e soluzioni che la
nostra fantasia ci offre.

Ianara

http://www.ecn.org/contropotere



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