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(it) Umanità Nova n. 2 - La mossa del cavallo: la complessapartita del cinese

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Date Mon, 20 Jan 2003 08:47:09 -0500 (EST)


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Da "Umanità Nova" n. 2 del 19 gennaio 2003

La mossa del cavallo
La complessa partita del cinese


"Se Cofferati vuole rendersi utile, venga a tirare la carretta
insieme a noi".Massimo D'Alema da "La Repubblica" del 12 gennaio 2002


"Fa comodo dire che ho ambizioni politiche, che sto facendo un
partito, che guiderò una mia 'lista del lavoro' alle europee. Tutte
sciocchezze, che servono solo a descrivermi come uno che punta a una
scissione nei Ds. È lo stesso giochino umiliante che fecero al
congresso di Pesaro: ma oggi come allora ripeto che non voglio
dividere niente, non farò mai una scissione"."Dappertutto migliaia di persone, interessate, attente: chiedono di
'partecipare'. Io mi limito a rispondere a questa loro domanda di
partecipazione. Non mi pongo, e non mi sono mai posto, l'obiettivo
di partire da qui per diventare leader politico. Lo faccio perché
sento di dovere qualcosa a tanta gente, che ha creduto e continua a
credere in me".Sergio Cofferati da "La Repubblica" 13 gennaio 2002


"Oggi i moderati dell'Ulivo sono molto più lontani dall'ex leader
della Cgil che da noi. Faccia emergere questa diversità. Basterebbe
riprodurre in Parlamento ciò che già esiste nella società. Si
creerebbero tre blocchi sul fronte opposto a Berlusconi: moderati,
riformisti legati all'ex sindacalista, e radicali, cioè Rifondazione
comunista".Fausto Bertinotti da "Il Corriere della Sera" del 12 gennaio 2002


"Si doveva andare alle elezioni, dice oggi Cofferati: ma non fu
proprio la Cgil di cui era segretario generale, allora, a lanciare
un appello contro le elezioni anticipate, e a salutare con favore
l'incarico di governo al leader del più importante partito della
sinistra?".Massimo D'Alema da "La Repubblica" del 12 gennaio 2002


Come è noto, il gioco degli scacchi è una raffigurazione della
guerra. E la politica, mi si consenta la parafrasi, non è altro che
la guerra condotta con altri mezzi. Cosa fanno, o cercano di fare, i
capi politici, in fondo, se non accumulare forze, stipulare
alleanze, difendere posizioni, tentare assalti, logorare gli
avversari, fondare domini?
Certo, di norma, la politica è più amministrazione dell'esistente
che innovazione ma se assumiamo che la guerra non è l'eccezione ma
la regola che caratterizza le società gerarchiche anche la mediocre
prassi degli apparati di partito disvela il suo carattere cruento.
Basta, in fondo, pensare al modo di funzionare di un'azienda ed alle
lotte fra aziende per poter riconoscere il carattere reale della
partita alla quale siamo soggetti.
Non credo che sia casuale che alcuni capi politici famosi siano o
siano stati discreti giocatori di scacchi, basta pensare, per fare
un esempio, al buon Lenin.
Sarebbe, fra l'altro, interessante sapere quanti anarchici sono
buoni giocatori di scacchi. Sospetto che, in ogni caso, ci manchi la
capacità o, meglio, la propensione a considerare gli uomini come
oggetti e i movimenti sociali come astratte forze da utilizzare. Una
carenza assolutamente positiva.
D'altro canto, in "Guerra e Pace", Tolstoj dedica delle pagine
magistrali anche se, a dire la verità, a mio avviso un po'
ridondanti, allo sforzo di dimostrare che il concreto svolgersi
della guerra sfugge agli stessi stati maggiori, che il muoversi,
nella totale confusione, di masse imponenti di esseri umani
determina risultati ed eventi diversi da quelli disegnati sulle
mappe degli strateghi.
La politica, insomma, impone un ordine a dinamiche storiche che non
nascono né si sviluppano secondo le sue regole e vi è uno scarto fra
la politica stessa ed i movimenti profondi del corpo sociale. Uno
scarto che può aprire spazi di liberazione dalla politica (la
critica della politica) o determinare momenti di crisi della
politica che si risolvono in un nuovo equilibrio dei poteri.
Proviamo, dunque, ad applicare queste considerazioni alla complessa
situazione dell'attuale sinistra italiana.
Su "Il Manifesto" di qualche giorno addietro campeggiava un'efficace
vignetta di Vauro, intitolata "Gli opposti estremismi" che
raffigurava Fassino e Bertinotti che esclamavano, in perfetta
consonanza "Basta con Cofferati". La vignetta in questione
esprimeva, con discreta efficacia la lettura che la redazione de "Il
Manifesto" da della situazione: la discesa in campo di Sergio
Cofferati e la straordinaria riuscita di una serie di
manifestazioni, ultima quella di Firenze della settimana scorsa,
stanno scompigliando le carte e mettendo in crisi profonda i gruppi
dirigenti della sinistra che, al di là delle tradizionali
divergenze, sono uniti nell'ostilità rispetto alla principale novità
politica di fase e cioè all'iniziativa politica del cinese.
Naturalmente questa valutazione è, per l'essenziale, esatta.
Sarebbe, infatti, singolare che degli apparati consolidati che
hanno, nell'arco di anni, definito i propri rispettivi territori
trovassero gradevole l'occupazione di questi stessi territori da
parte di un nuovo potente soggetto.
D'altro canto, la redazione de "Il Manifesto" è tutto tranne che un
osservatore disinteressato. La simpatia per il progetto cofferatiano
da parte della sinistra ingraiana è assolutamente naturale e
coerente con la storia di questa corrente della sinistra. Non fa, in
fondo, che riprendere la tradizionale ostilità degli ingraiani nei
confronti della scissione del PCI fra DS e PRC e la loro idea di un
possibile ammodernamento della sinistra statalista nel suo assieme.
L'entrata in campo di Sergio Cofferati è la realizzazione di una
vecchia intuizione di Pietro Ingrao: la mossa del cavallo, la
possibilità di andare a sinistra passando da destra e di ridefinire
il campo della sinistra stessa sulla base di una capacità di dare
rappresentanza a universi sociali che il politicismo dei DS e il
massimalismo del PRC avevano lasciato scoperti.
Naturalmente, questa stessa possibilità nasce da una crisi della
sinistra, dalla sconfitta elettorale e dall'affermarsi della destra
ma, come è sin troppo noto, le crisi sono un'occasione di
innovazione che può essere o meno colta.
Quando Massimo D'Alema ricorda oggi che la CGIL, e quindi Sergio
Cofferati, è pienamente responsabile della politica del governo
dell'Ulivo ha perfettamente ragione ma questo suo avere ragione,
egli ha, d'altronde, torto per il solo fatto di esistere, non ha
alcuna importanza effettiva.
Sergio Cofferati è la "novità" non perché vi sia una qualche
coerenza fra politica della CGIL negli anni del governo della
sinistra e in quelli del governo della destra ma perché ha la forza
di proporsi come innovatore e di portare in dote una struttura
organizzata adeguata o, almeno, meno inadeguata di altre al progetto
di una ridefinizione della sinistra.
Quando Fausto Bertinotti ricorda le ambiguità di Sergio Cofferati su
di una serie di questioni di merito ha altrettanto ragione ma cade
proprio sull'idea stessa di sinistra che cerca di difendere. L'idea
di una sinistra tripolare, infatti, è divertente ma sostanzialmente
infondata. Bertinotti vorrebbe una sinistra moderata (Fassino -
Rutelli), una sinistra riformista (Mussi - Cofferati) ed una
sinistra radicale (PRC - movimento dei movimenti). Il problema sta
nel fatto che la sinistra radicale è ovunque tranne che nel blocco
che egli individua.
Sul piano del programma, che pure qualcosa dovrebbe significare, il
PRC è un partito keynesiano e difende proprio quello "stato sociale"
che tanto sta a cuore a Cofferati.
Sul piano della tattica, poi, la direzione bertinottiana del PC ha
coltivato un rapporto privilegiato con i "movimenti" che avrebbero
dovuto garantire una fuoriuscita dolce dal ghetto veterobolscevico
nel quale il PRC rischiava di restare intrappolato.
Nei fatti, proprio la tattica bertinottiana disvela i suoi limiti
profondi: da una parte i veterobolscevichi del PRC o, almeno, i
veterobolscevichi di destra, e non sono pochi, sono strutturalmente
legati alla CGIL e naturalmente interessati all'ipotesi del progetto
cofferatiano mentre Sergio Cofferati è perfettamente in grado di
parlare al "movimento dei movimenti" come un interlocutore più
forte, affidabile, interessante del buon Fausto Bertinotti.
In cosa, infatti, consiste questo movimento dei movimenti?

Per un verso, certamente, nell'espressione di una reazione
antiberlusconiana del popolo di sinistra. E, se il problema è
battere Berlusconi, Cofferati è certo più interessante di Bertinotti
o, almeno, più credibile.
Per l'altro nella rivendicazione di uno spazio politico diverso da
quello tipicamente partitico ma non necessariamente più radicale. Ed
anche da questo punto di vista la CGIL appare come una sponda
interessante.
Se, infine, si pone l'accento sulle correnti e le pratiche radicali
che attraversano questa esperienza, queste componenti non si possono
riconoscere né nel PRC né nella CGIL per motivi assolutamente
evidenti.
Naturalmente, non si può escludere che il PRC riesca ritagliarsi uno
spazio che non può, però che essere marginale. Infatti i giochi sono
fatti:
- se la sinistra deve battere Berlusconi sul piano elettorale e se
l'unica speranza è il rinnovamento e l'unità, il progetto
cofferatiano è l'unico credibile;
- se parliamo di un'opposizione sociale che si sviluppa su
obiettivi, contenuti, pratiche autonomi dal sistema dei partiti, il
PRC, se si prescinde dalla pratica di parte della sua base, è
un'altra cosa.
Insomma, un tipico e doloroso caso di troppo e troppo poco.

Per quanto riguarda il blocco cofferatiano, è evidente che si sta
disegnando. Parte consistente dell'apparato della CGIL (non tutto,
una forte destra interna rema contro e rivendica l'autonomia del
sindacato dal sistema dei partiti), i girotondi ed il pezzo di
classe media che rappresentano, la componente moderata del movimento
dei movimenti. Non poco, anzi, ma nemmeno quanto basta, a breve, a
scalzare un apparato DS saldamente controllato dall'attuale gruppo
dirigente.
Proprio perché, come ama ripetere, Sergio Cofferati è un
"riformista" ed un moderato, è evidente che lavora con calma e
rimanda a tempi migliori la scelta di una rottura dei DS che, questo
mi pare evidente, preferirebbe vedere imposta dalla destra del
partito in modo da poter salvare la sua immagine di leader
responsabile ed "unitario".
Un gioco complesso, insomma, per certi versi divertente ma un gioco
che raffigura solo parzialmente la vera partita in corso.
Cosimo Scarinzi



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