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(it) Umanità Nova n. 7 : Bolivia: se ne vada il gringo!

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Date Thu, 27 Feb 2003 11:25:13 +0100 (CET)


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Da "Umanità Nova" n. 7 del 23 febbraio 2003

Bolivia: se ne vada il gringo!
Rivolta contro il governo

Al grido di "Se ne vada il gringo" la Bolivia ha vissuto alcuni
giorni di aperta rivolta contro il governo del liberale
presidente Gonzalo Sanchez de Lozada. La rivolta ha provocato a
tutto venerdì 14 febbraio almeno venti morti e centinaia di
feriti e arrestati in tutto il paese: nelle grandi città, la
capitale La Paz, Cochabamba e Santa Cruz ma anche nel distretto
minerario di Potosi e nella regione contadina del Chapare.
Questo il risultato delle prime 24 ore di manifestazioni contro
l'impustazo, la "manovraccia", l'ennesima tassa voluta dal
governo boliviano per ridurre l'inflazione dal 9 al 6%
condizione richiesta dal Fondo monetario internazionale per
concedere un nuovo prestito. L'esistenza dell'impustazo, cioè un
taglio agli stipendi pubblici fino di circa il 10,3%, è stata
resa nota dal governo boliviano l'11 mattina quando è stato
presentato il Presupposto Generale per la Nazione (PGN) 2003,
una sorta di manovra economica ideata proprio per rispondere
alle richieste dell'FMI.

Come riferiscono le testimonianze che abbiamo raccolto in rete,
visto che i media hanno quasi completamente taciuto la rivolta
boliviana di questi giorni, il sentimento ricorrente nelle
strade era la rabbia: nonostante che il regime abbia mobilitato
radio, televisioni e giornali paventando i fantasmi del
vandalismo, nonostante il giorno di ferie obbligatorio concesso
dal regime per giovedì 13 e l'immediato ritiro della
"manovraccia", migliaia di boliviani si sono riversati nelle
strade riportando rivendicazioni tutt'altro che parziali: se ne
vada il governo, chiudano il parlamento, sono stati i due slogan
più ascoltati nella manifestazioni del 13 e 14.

Giovedì 13 La Paz era completamente militarizzata: nel Prado, la
principale via della capitale, si sono viste scene di guerra
urbana con piccoli gruppi di manifestanti che cercavano di
avanzare verso la sede del governo e cecchini dell'esercito,
rimasto fedele al presidente, che facevano a gara per colpire
qualche manifestante. I militari sono arrivati a sparare ad una
infermiera, uccidendola, e ad un medico mentre cercavano di
soccorrere un manifestante ferito.

Le manifestazioni del 12 e del 13 erano state favorite
dall'ammutinamento della polizia. La manifestazione dei
poliziotti ha colto il governo di sorpresa, così come una
sorpresa è stata la partecipazione alle manifestazioni delle
forze speciali di sicurezza, i GES, più conosciuti come
dalmatas, ovvero le truppe meglio armate e meglio addestrate del
paese.

Mercoledì 12, poche ore dopo l'inizio della manifestazione in
Plaza Murillo, la piazza di La Paz sulla quale si affaccia il
Palazzo del Governo, accanto ai poliziotti si sono schierati i
dalmatas con le loro armi, pronti a rispondere alla repressione
operata dall'esercito. In meno di dieci ore, si contavano già 15
morti e più di ottanta feriti. Il giorno seguente era prevista
una manifestazione organizzata dalla COB, Central Obrera
Boliviana, che però è stata attaccata dall'esercito ancor prima
della partenza del corteo. La manifestazione si è sciolta ma i
manifestanti si sono riorganizzati nelle vie adiacenti e gruppi
di giovani e meno giovani hanno preso d'assalto le sedi dei due
partiti di governo ed edifici pubblici. Non sono mancati i
saccheggi di supermercati e di banche legate al presidente
Sanchez de Lozada, che il popolo chiama spregiativamente "Gony"
per il suo spagnolo dall'accento fortemente americano. Giovedì
ha fatto la sua apparizione anche la dinamite, lo strumento
usato nelle proteste dei minatori: "ogni volta che si faceva
saltare un angolo prima presidiato dai militari o che si è fatta
esplodere una strada - riferisce un testimone della rivolta - il
festeggiamento e lo stordimento erano generalizzati". Solo
venerdì 14, dopo che il governo aveva accolto le richieste della
polizia, La Paz ha ripreso un aspetto relativamente calmo anche
perché sono iniziate le retate dei poliziotti contro i
manifestanti.

La classe dirigente boliviana ha vissuto alcuni giorni di
terrore: il fantasma di una seconda Argentina ha provocato il
panico. "Ieri - riferisce il testimone della rivolta già citato
- mentre vedevamo edifici che la furia popolare stava
distruggendo e bruciando, alcuni studenti scherzavano dicendo
che si stava andando verso Plaza de Mayo". Ma le differenze
erano notevoli: innanzitutto lo scontro frontale fra i due
pilastri armati del potere dello Stato, polizia ed esercito, poi
il prevalere sullo spontaneismo delle organizzazioni popolari
(COB e Federazione campesina, ma non solo) ma anche del partito
del candidato presidenziale sconfitto da "Gony", il Movimento
per il socialismo (MAS) di Evo Morales, che ha mantenuto la sua
credibilità durante tutta la rivolta. Dai resoconti, per altro
frammentari, sembra di capire che l'iniziale unità fra
lavoratori, contadini e ceto medio sia stata rotta dalle manovre
del presidente e dei media. Non è mancato un appello alla pace
lanciato da Giovanni Paolo II.

"La Bolivia è un paese bello e pieno di vitalità - scrive il
citato testimone della rivolta - Oggi quando abbiamo visto
marciare i minatori senza pensione, insieme ai lavoratori,
giovani e studenti, tirando dinamite e cantando "que se vajan
l'asesino" ci siamo emozionati. Sono stati i forgiatori di una
lotta enorme, che ha le sue radici nelle mobilitazioni della COB
come nella guerriglia del '52; protagonisti del futuro di cui
scrivono ancora una volta la propria storia. Una storia che si
sta scrivendo con il sangue, come sempre i popoli scrivono le
proprie storie."

A. R.


(L'articolo è aggiornato al 14 febbraio. Fonti: Indymedia,
www.selvas.org, Bilan du monde, edition 2003)


http://www.ecn.org/uenne/




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