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(it) Umanità Nova n. 7 : Bossi-Fini e sanatoria: un primo bilancio

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Date Wed, 26 Feb 2003 16:54:21 +0100 (CET)


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Da "Umanità Nova" n. 7 del 23 febbraio 2003

Sulla pelle dei migranti
Bossi-Fini e sanatoria: un primo bilancio

Sono passati ormai diversi mesi da quando la famigerata legge
"Bossi-Fini" sull'immigrazione è stata approvata dal parlamento.
Sono anche passati tre mesi da quando la sanatoria collegata
alla legge stessa si è chiusa.

Adesso si possono iniziare a tirare le somme dei primi effetti
che questa legge dichiaratamente razzista ha causato, e
immaginare quali potrebbero essere gli scenari nel prossimo
futuro.

Iniziamo con alcuni dati sulla sanatoria: le domande presentate
sono state 697.759, divise quasi a metà fra domande per la
regolarizzazione di lavoratori dipendenti e quelle per
badanti/colf, sebbene con notevoli differenze da regione e
regione. Da solo, questo provvedimento dovrebbe, e sottolineiamo
il dovrebbe, "regolarizzare" un numero di immigrati quasi
equivalente a quello di tutte le precedenti sanatorie messe
assieme.

Nel suo complesso la "Bossi-Fini" è come al solito frutto di un
compromesso fra esigenze diverse in seno alla maggioranza di
governo: da un lato la pressante richiesta di manodopera
flessibile e a buon mercato da parte del padronato, in
particolare degli impreditori del nord-est (di cui si fanno
portavoce Forza Italia, i centristi e una minoranza di AN),
dall'altro le pulsioni xenofobe e razziste di parte
dell'opinione pubblica, rappresentate e alimentate dalla
maggioranza di AN e dalla Lega (da tempo ormai la formazione più
dichiaratamente razzista presente nel panorama politico, al pari
dei gruppi di estrema destra come Forza Nuova, con cui non a
caso i contatti e le collaborazioni vanno rafforzandosi).

La legge è riuscita - per il momento - a tenere assieme queste
esigenze. La sanatoria ed una rinnovata politica dei flussi
annuali (ma non si sa bene come e se questa sarà effettivamente
fatta funzionare) ha accontentato le prime istanze, la famosa
promessa di "tolleranza zero" (espulsioni di massa, nuovi
CPT...) le seconde.

La realtà è però più complessa.

La sanatoria (che ha assunto dimensioni inaspettate anche per il
governo) è in verità appena agli inizi. Delle centinaia di
migliaia di domande presentate solo poche migliaia sono già
arrivate a buon fine, giungendo al colloquio in prefettura e al
conseguente rilascio del permesso di soggiorno. Le altre
giacciono ancora al Ministero dell'Interno e secondo stime
realistiche saranno necessari da 3 a 4 anni per evaderle tutte.

Nel frattempo gli immigrati restano in uno stato di precarietà
che paralizza le loro vite: non possono cambiare lavoro, andare
a trovare le famiglie nei paesi di origine e così via. Devono
attaccarsi a quella ricevuta che attesta la domanda di
regolarizzazione, aspettare e sperare.

Altro aspetto della sanatoria è la sua voluta ambiguità rispetto
ad alcune delle condizioni richieste per la regolarizzazione, in
particolare quella dell'abitazione. Il testo recita infatti che
i datori di lavoro devono "garantire un alloggio dignitoso"
senza specificare cosa questo voglia dire.

Il sospetto è che per questo ed altri aspetti molto sarà come al
solito lasciato alla discrezionalità delle singole
prefetture/questure: un appartamento di 60 mq in cui risiedono 5
persone potrebbe essere ritenuto idoneo ad Ancona ma inidoneo a
Milano, causando il rigetto della domanda e la conseguente
espulsione.

Nonostante le numerosissime ambiguità e i rischi (una domanda di
regolarizzazione costituisce nei fatti anche una autodenuncia di
clandestinità e perciò la certezza di essere espulsi in caso di
respingimento della stessa) la sanatoria è stata comunque vista
dagli immigrati come una possibilità, forse l'ultima, di
riuscire ad uscire dalla clandestinità e poter perciò aspirare
ad una vita più dignitosa.

Come è ovvio su queste speranze hanno speculato affaristi e
mafiosi di ogni risma: si è creato un fiorente mercato di
documenti per false assunzioni, dove gli immigrati sono stati
costretti a sborsare, oltre alle spese per la domanda già di per
sé alte, persino 7.000 euro. In altri casi invece sono stati gli
stessi imprenditori a pretendere che gli immigrati si pagassero
le spese e i contributi per essere regolarizzati, pena il
licenziamento immediato.

Per fortuna oltre a questi innumerevoli esempi di sciacallaggio
si è anche creato un forte, seppur sotterraneo, movimento di
solidarietà. In moltissime città, spesso per opera della
associazioni antirazziste ma anche per iniziativa dei singoli,
si sono creati gruppi più o meno informali, che hanno aiutato
gli immigrati in mille modi nella regolarizzazione: dando loro
una mano per compilare i documenti, facendo pressioni sui datori
di lavoro e sulle famiglie, fornendo informazioni e anche
"adottando" in prima persona un immigrato/a.

Adesso la situazione, come detto prima, è di stallo e tutti,
immigrati e associazioni antirazziste in primis, aspettano di
vedere cosa accadrà nel momento in cui le domande per le
regolarizzazioni inizieranno a essere massicciamente vagliate.

Sanatoria a parte, andiamo a vedere come procede l'attuazione
della legge vera e propria.

Nelle intenzioni del Governo i "centri di permanenza temporanea"
(CPT) svolgono una funzione importante in questo senso.
Innanzitutto il Governo ha ben pensato di raddoppiare il tempo
di permanenza da 30 a 60 giorni per evitare che qualche
prigioniero possa uscire per decorrenza dei termini. Inoltre
prosegue l'opera di potenziamento. Dopo l'apertura del CPT di
Modena, ora pare la volta del Veneto, dove la costruzione
dell'ennesimo lager (probabilmente di grandi dimensioni) è ormai
certa sebbene non ne sia ancora stata decisa l'ubicazione. Ma
questo è solo l'inizio. Nelle intenzioni dei gerarchi
governativi i CPT dovrebbero spuntare come funghi un po'
dappertutto.

Di pari passo prosegue la militarizzazione del territorio.

I tanto sbandierati poliziotti e carabinieri di quartiere sono
un tassello importante di questo progetto, avendo come funzione
primaria il controllo costante delle città contro la
"microcriminalità". È ovvio, sebbene non venga detto
esplicitamente, che il controllo degli immigrati è fra le
priorità di questa nuova figura repressiva che mieterà vittime
soprattutto fra gli ambulanti e i senza fissa dimora, cioè
l'anello più debole della società.

Vengono inoltre perfezionati gli accordi con altri paesi per la
creazione di pattuglie miste di polizia di frontiera (in
particolare nel Mediterraneo) e per facilitare le procedure di
espulsione immediata dei clandestini, anche verso paesi terzi.

Per completare questo rassicurante quadro occorrono due parole
sulla questione dei richiedenti asilo politico. La Bossi-Fini
non è entrata nell'argomento, ma in ogni caso ormai da mesi le
richieste di asilo vengono in gran parte rigettate senza alcun
motivo, causando disperazione fra i rifugiati, molti dei quali
rischiano la vita in caso di rimpatrio. In materia si stanno poi
perfezionando gli strumenti repressivi in campo europeo. A
partire da metà gennaio infatti è entrato in funzione il sistema
Eurodac che raccoglierà le impronte e le informazioni sui
rifugiati e sui richiedenti asilo di tutta l'Unione Europea,
così da impedire che qualcuno possa fare domanda in più paesi.

Come si vede la situazione è a dir poco preoccupante. Pian piano
e senza clamori il quadro repressivo nei confronti degli
immigrati si sta delineando e consolidando. La nostra
impressione, condivisa da molti, è che i tempi duri debbano
ancora arrivare. È molto probabile che man mano che le pratiche
della sanatoria verranno chiuse le azioni repressive si
moltiplicheranno e azioni di rastrellamento nei quartieri e
nelle città (ultima quella a Brescia) diventeranno norma
quotidiana, così come gli internamenti di massa nei CPT.

Si aggiunga un ulteriore rafforzamento dei controlli sui mari e
alle frontiere, con le ovvie conseguenze del moltiplicarsi delle
stragi di Stato sui mari e nei container, assieme al proliferare
di mafie pronte a sfruttare le disgrazie altrui, chiedendo
sempre più soldi per l'entrata clandestina in Italia.

La condizione degli immigrati sarà realmente quella di soggetti
in libertà vigilata. Infatti, oltre alle sopracitate misure
repressive bisogna tener conto dell'aspetto forse più importante
della nuova legge: il permesso di soggiorno è legato al possesso
di un lavoro regolare. Ciò significa nella pratica (e troppo
poco lo si è detto e spiegato) che gli immigrati saranno legati
mani e piedi al proprio lavoro e ai propri padroni: qualsiasi
lamentela, tentativo di organizzazione sindacale, reazione ai
soprusi e allo sfruttamento può portare al licenziamento e
perciò all'espulsione, se, tempo sei mesi, non si è trovato un
altro lavoro. Si capisce perciò come questa legge - ancor più
della precedente - abbia reso realtà il sogno del padronato:
lavoratori supini e ricattabili, senza difese, pronti ad
accettare qualsiasi condizione lavorativa.

Di fronte a questa barbarie di Stato, grande è il compito che
attende le comunità di immigrati, gli antirazzisti e tutte le
persone solidali. Bisogna costruire reti di resistenza che nel
quotidiano sappiano contrastare gli effetti della legislazione
razzista. In questo percorso primaria è la creazione e il
consolidamento delle relazioni fra immigrati e autoctoni a
partire dalle comuni condizioni di sfruttamento, in primo luogo
sui luoghi di lavoro.

Solo con un lavoro comune sui territori che faccia della
solidarietà di classe l'elemento fondante sarà possibile lottare
in modo efficace contro le leggi razziste.


Commissione Antirazzista della FAI

fai-antiracism@libero.it
www.federazioneanarchica.org/antirazzista


http://www.ecn.org/uenne/




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