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(it) Umanità Nova n.4 - Giochi sporchi tra potenti: Guerraall'Iraq: gli USA e l'Europa

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Date Mon, 3 Feb 2003 07:39:14 -0500 (EST)


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Da "Umanità Nova" n. 4 del 2 febbraio 2003

Giochi sporchi tra potenti
Guerra all'Iraq: gli USA e l'Europa


Berlusconi l'ha detto, o meglio gli è scappato [1], chiaro:
"l'Italia si muoverà nella crisi in Medio oriente secondo le
risoluzioni....degli Stati Uniti!"
Un pronto consigliere suggerisce a bassa voce "dell'ONU, dell'ONU" e
l'ineffabile "nano", troppo imbarazzato per sfoderare la sua
sorriso-paresi abituale, ripete "dell'ONU... scusate è stato un
lapsus".
Ovviamente si ride per il ridicolo ma da ridere c'è ben poco, visto
che la guerra in Iraq, che come alcuni suggeriscono non è mai
finita, avrà la sua escalation bellica in ogni modo e fra non molto.
È lo stesso Richard Haass a spiegarcelo durante il recente Forum
Economico Mondiale di Davos; "Voglio sperare che alla fine saremo
capaci di creare una posizione di consenso all'interno del Consiglio
di Sicurezza per fare ciò che è necessario per disarmare l'Iraq." e
continua "Ma, se questo si dovesse rivelare impossibile e se il
presidente (Bush) lo decidesse, allora state certi che saremmo
pronti a mettere insieme una coalizione di chi ci sta che sarà la
più ampia possibile".
L'arruolamento dell'Italica patria al servizio della Casa Bianca non
è una novità, risulta invece meno scontato il NO dell'asse
franco-tedesco, recentemente ribadito sulle scene mediatiche e
politiche europee e internazionali.
Mentre Berlusconi preoccupato dichiara: "Quello che vogliamo non
avvenga è una frattura tra UE e Stati Uniti. Sarebbe una iattura"
[2], si aggiungono alla lista dei più "cauti" la Cina, la Russia e
le dichiarazioni del ministro degli Esteri canadese, Bill Graham,
che ha convenuto con Francia e Germania affermando "in questa fase
una guerra non sarebbe giustificabile" [3].
Sgombrato il campo dai possibili fraintendimenti destra-sinistra
sulle scelte congiunte del neogollista Chirac e del
socialdemocratico Gerhard Schroeder, trasversali agli schieramenti
politici istituzionali, rimangono in ballo le uniche questioni
realisticamente significative: gli interessi intercapitalistici e
gli equilibri internazionali dell'occidente nell'era della "guerra
globale e preventiva".
La fine della Guerra fredda ha reso le alleanze cosiddette storiche
più instabili di quanto si pensi, perché se da un lato i rapporti di
forza conducono a fronti più o meno compatti (vedi ex Jugoslavia o
Afganistan) all'interno del Patto, è pur vero che le perenni crisi
capitalistiche che ciclicamente imperversano necessitano di
espedienti tutt'altro che unificanti.
Si può leggere così questa gelata politica che pare contrapporre
almeno due interessi diversi: da una parte le potenze regionali
interessate a rinegoziare o rinsaldare il controllo occidentale
sulle risorse energetiche, consentendo ai paesi europei -
possibilmente coordinati nell'Unione Europea - di avviare un proprio
approccio stabilendo e rinforzando i propri interessi con i paesi
petroliferi medio orientali considerati nemici dagli Stati Uniti
come appunto l'Iraq o l'Iran; dall'altra l'asse anglo-americano che
procede in modo spasmodico verso l'accaparramento del maggior numero
di territori e risorse da controllare e gestire, non solo come
approvvigionamento e risalita economica-finanziaria (gli USA
attraversano da ormai un decennio una crisi interna fortissima che è
culminata proprio in questi ultimi anni ed in particolare con la
stellare guerra al terrorismo post 11 settembre), ma ancora più
strategicamente come rallentamento e ostacolo alla neonata Unione
Europea guidata proprio dall'asse franco-tedesco e da un invidiabile
primato dell'Euro sul dollaro [4].
Ed è proprio di "approccio" che si può parlare rispetto all'uso
della guerra come soluzione adottata dai vari potentati in gioco.
Nessuno può credere a Gerhard Schroeder quando durante la cerimonia
tedesca per le celebrazioni del quarantesimo anniversario del
Trattato di riconciliazione franco-tedesco ha affermato: "...la
Germania non può sostenere la legittimazione della guerra, non
bisogna mai accettare che una guerra sia inevitabile, la guerra non
è mai inevitabile", o a quella sorprendente "saggezza", rivendicata
alla UE, con cui il pacioso Prodi ha risposto al segretario della
Difesa americano che accusava l'Europa d'essere "vecchia".
D'altronde le politiche guerrafondaie dei vari paesi europei sono
storia.
È piuttosto vero che, in mancanza di una forza d'urto bellica e di
un coordinamento politico effettivo, i paesi dell'Unione Europea
difficilmente potranno competere con le politiche guerrafondaie
degli USA, in una sorta di "equilibrio" dentro lo scacchiere
occidentale.
Rispetto ai giochi sporchi dei vari potentati rimangono pesanti come
macigni le lacune di un'opposizione alla guerra che aldilà di fare
"opinione pubblica", senza togliere l'importanza che questa può
suscitare rispetto le varie politiche belliciste governative, non
riesce ancora ad individuare una pratica comune ed incisiva.
In questa direzione sempre più urgenti possono apparire vere e
proprie "diserzioni sociali" come un grande, ampio e prolungato
sciopero generale contro la guerra ed il boicottaggio diffuso dei
mezzi e dei luoghi della macchina bellica come le ferrovie, i
trasporti, le industrie d'armi e le istituzioni preposte a sancire
bombardamenti e massacri.
Stefano Raspa


Note


[1] "Quel lapsus di Berlusconi sulla guerra", Editoriale del 24
gennaio di Radio Città Aperta[2] La repubblica, 24 gennaio 2003
[3] La repubblica, 23 gennaio 2003
[4] Dollaro che nei confronti dell'euro ha toccato quota $1,0734, i
minimi dall'ottobre 1999. Fonte www.Wallstreetitalia.com

http://www.ecn.org/uenne/



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