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The.Supplement
{Info on A-Infos}
(it) [ALT.MEDIA]Il boicottaggio funziona!!!
From
worker-a-infos-it@ainfos.ca (Flow System)
Date
Thu, 24 Apr 2003 19:49:40 +0200 (CEST)
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http://ainfos.ca/index24.html
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Da: Meletta <meletta@aconet.it>
Questi due articoli apparsi su un’intera pagina nella sezione “marketing”
del quotidiano economico-finaziario “ItaliaOggi” del 24 aprile 2003 sono
indicativi di quanto fanno “male” alle saccoccie di lorsignori i
boicottaggi mirati. E quanto è necessario intensificarli e propagandarli,
anche, riguardo al secondo articolo, non far dormire sogni tranquilli ai
signori delle multinazionali dello sfruttamento e della guerra neanche
per l’Italia.
Oltre ai boicottaggi contro la guerra penso anche al boicottaggio mirato
alla Coca-Cola, mandante degli assassini da parte degli squadroni della
morte di sindacalisti e lavoratori negli impianti colombiani
Da notare le “Quattro regole per non sbagliare” indicate dal quotidiano
per ingannare e aggirare le giuste ragioni dei consumatori decisi al
boicottaggio.
Seguono articoli:
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Una ricerca di KRC per Weber Shandwick lancia l’allarme ai marketing
maneger: affari a rischio in Europa
Iraq, effetto boomerang sui brand Usa
In Germania e Francia un consumatore su dieci boicotterà i prodotti
anglosassoni
Di Barbara Battaglini
Gli americani boicottano i prodotti francesi per ripicca contro il no
alla guerra di Jacques Chirac. Ma succede anche il contrario: secondo un
recente sondaggio, commissionato alla Krc research dall’agenzia di
relazioni pubbliche internazionale Weber Shandwick, Stati Uniti e Gran
Bretagna rischiano di perdere affari per miliardi di dollari in Europa a
causa dell’antipatia suscitata dalla guerra all’Iraq.
Il 17% dei consumatori francesi, per esempio, si è dichiarato meno
disposto ad acquistare prodotti americani, mentre il 10% si è detto
pronto a evitare i prodotti inglesi.
Situazione analoga in Germania, dove il 13% degli intervistati ha
affermato di essere meno propenso all’acquisto di prodotti “made in Usa”,
mentre il 10% si prepara a chiudere la porta in faccia ai prodotti
inglesi.
Anche se va detto che il 9% dei tedeschi è più disposto di prima
all’acquisto di prodotti Usa e il 7% è più favorevole a mettere prodotti
britannici nella busta della spesa.
Anche i consumatori inglesi, comunque, condividono sentimenti
anti-americani: l’11% dei britannici, per esempio, è favorevole al
boicottaggio dei prodotti a stelle e strisce e solo il 4% si dimostra più
propenso di prima al loro acquisto.
Dal sondaggio (condotto attraverso interviste telefoniche svolte tra
l’11
e il 13 aprile su un campione di mille persone in ciascun paese: Gran
Bretagna, Francia e Germania) emerge, inoltre, che, rispetto a cinque
anni fa, la Gran Bretagna è il paese in cui si è verificato il più forte
aumento al boicottaggio dei prodotti per porre l’accento su questioni
ritenute importanti, come la guerra in Iraq, il lavoro minorile o i
problemi ambientali. Gli inglesi insomma sembrano pronti più di prima a
sfruttare il loro potere d’acquisto per creare un caso politico o etico.
E così, il 39% si dichiara più propenso al boicottaggio rispetto a
cinque anni fa, rispetto al 29% che è invece contrario. In Francia il
32% è più favorevole al boicottaggio contro il 35% meno disposto. In
Germania il 28% è più propenso e il 56% meno.
“In Francia e Germania”, fa notare Colin Byrne, joint chief executive
di
Weber Shandwick Uk, “la presa di posizione pacifista dei leader politici
e dei principali media si è diffusa anche fra i consumatori. L’opinione
pubblica inglese è meno ostile alla guerra, ma la cosa sorprendente è
che, in termini generali, i consumatori sembrano essere diventati più
politicizzati. Dei tre paesi presi in esame, gli inglesi sembrano
maggiormente propensi a far leva sul proprio potere d’acquisto per
evidenziare una questione importante che li riguarda”.
Le aziende inglesi e americane “dovrebbero evitare”, continua David
Brain, l’altro joint chief executive di Weber Shandwick Uk, “che il
marchio di un prodotto venga collegato alla bandiera nazionale. Le
multinazionali dovrebbero inoltre enfatizzare le origini locali del
prodotto e il contributo all’economia nazionale. Far percepire che
l’azienda fornisce contributi alla comunità in cui opera e comunicare
maggiormente con i propri dipendenti, in modo che non considerino un
fatto negativo il lavorare per un’azienda statunitense o inglese.
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Quattro regole per non sbagliare
1) Evitare che il marchio di un prodotto di origine USA/Uk venga
collegato direttamente alla bandiera nazionale, prestando particolare
attenzione alle immagini che circolano via internet
2) Enfatizzare al massimo i legami dei prodotti con le tradizioni locali
del paese in cui si è venduto e il suo contributo all’economia nazionale
3) Far percepire che l’azienda fornisce contributi alla comunità in cui
opera: l’azienda non deve solo vendere prodotti, ma deve comportarsi come
un buon cittadino
4) Comunicare maggiormente con i dipendenti, in modo che non considerino
un fatto negativo il lavorare per un’azienda statunitense o inglese
--------------
E l’Italia dorme sonni tranquilli
Le multinazionali americane e inglesi possono dormire sonni tranquilli
in
Italia: non corrono nella penisola alcun rischio di boicottaggio dei
propri prodotti. E’ questo l’orientamento generale degli esperti delle
dinamiche dei consumi interpellati da ItaliaOggi per commentare la
ricerca di Weber Shandwick. “La guerra in Iraq”, spiega per esempio
Giuseppe Minoia, presidente dell’istituto di ricerca Eurisko, “non ha
provocato alcun cambiamento significativo nelle abitudini di consumo
degli italiani, che continuano ad acquistare prodotti “made in Usa” e
“made in England” spesso anche incosciamente, senza identificarne
immediatamente provenienza e produzione.
“Certo”, continua il sociologo Enrico Finzi, presidente di
Astra-Demoskopea, “se gli Stati Uniti dovessero attaccare, dopo l’Iraq,
anche la Siria, l’immagine del paese a stelle e strisce potrebbe
peggiorare bruscamente, e in quel caso potrebbero anche essere avviate
ritorsioni verso le merci Usa. Ma si tratterebbero comunque di azioni
sporadiche, episodiche, isolate. Manca infatti, al momento, un forte
sostegno politico per operazioni di questo genere”.
“La Coca-Cola”, continua Minoia quasi per fugare ogni dubbio residuo,
“che è un tipico prodotto americano, non si identifica immediatamente,
nella mente dei consumatori italiani, con la politica estesa di Bush; ma
simboleggio piuttosto uno stile di vita ben definito, giovanile, il
piacere di stare in compagnia con gli amici, la libertà, l’amicizia”.
“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, continua Finzi
riferendosi
alla ricerca di Krc commissionata da Weber Shandwick, “e così, se si fa
una domanda diretta: “Sarebbe disposto ad acquistare prodotti americani
in relazione al ruolo svolto dagli Stati Uniti nella guerra”, si
risponderà in un cero modo ma non è detto che si agirà di conseguenza. E
questo non perché i consumatori siano bugiardi ma semplicemente perché
in questo momento l’attenzione al problema, il coinvolgimento
psicologico è molto elevato e le risposte sarebbero inevitabilmente
gonfiate.
E poi gli italiani, si sa, si emozionano facilmente ma dimenticano
altrettanto in fretta”.
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