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(it) Umanità Nova n.14: I curdi, pedine nello scacchiere iracheno
From
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Date
Fri, 18 Apr 2003 11:07:21 +0200 (CEST)
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Da "Umanità Nova" n. 14 del 13 aprile 2003
Tra l'incudine e il martello
I curdi, pedine nello scacchiere iracheno
Che la democratizzazione di un Iraq "liberato" dal dittatore
Saddam sia un alibi propagandistico angloamericano è dimostrato
in modo più che lampante dall'incertezza con cui viene
affrontata la questione dei Kurdi. Questa popolazione di oltre
40 milioni di individui, di cui la metà concentrata nel
Kurdistan che è un'area mediorientale a geografia continua, ma a
territorialità politica frammentata in quanto solcata da confini
di 4 paesi (Turchia, Iraq, Ira e Siria), ebbe la propria patria
per un paio di anni all'indomani della dissoluzione dell'Impero
ottomano in seguito alla sconfitta nella I guerra mondiale. Ciò
che avevano ottenuto dagli Alleati nel 1920 lo persero
incredibilmente nel 1923, ritrovandosi da allora perseguitati a
casa propria, cittadini di serie b - nella migliore delle
ipotesi, come in Siria - gasati e sterminati a migliaia da
turchi e iracheni con la complicità attiva (delle imprese
occidentali che fornivano Saddam dei gas) e inerte (delle
potenze occidentali alleate con Saddam nel decennio 1980-1990).
La sollevazione kurda con la sconfitta di Saddam nel 1991,
sollecitata dall'amministrazione Bush sr., fu stroncata dalla
guardia repubblicana, lasciata colpevolmente libera da ogni
controllo della coalizione vittoriosa che aveva liberato il
suolo kuwaitiano dall'esercito invasore; il rifugio sulle
montagne dell'Anatolia, braccati dai militari turchi, diede
luogo ad un esodo massiccio e impressionante che spinse l'Onu a
inviare aiuti umanitari che salvarono allora i kurdi da un
ennesimo sterminio di massa.
A distanza di dodici anni, resta la diffidenza kurda nei
confronti degli appelli rilanciati da Bush jr. tesi a integrare
i peshmerga quale truppa da campo per la carneficina di bassa
cucina cui risparmiare le truppe americane. Tutto ciò senza
mettere sul piatto un qualche straccio di soluzione della
questione kurda, che non viene citata nemmeno per sbaglio dai
turchi che pure dovrebbero modificare le norme del proprio
ordinamento interno relativo alla tutela delle minoranze
culturali e linguistiche se intende realmente entrare nell'alveo
dell'Unione Europea allargata. I Kurdi non sono stati nemmeno
consultati sul futuro iracheno, la cui integrità territoriale
viene costantemente ribadita quasi a voler preannunciare una
suddivisione d'influenza che però non risponde alle reali
presenze sul territorio, invaso nella sua totalità dai militari
angloamericani che si candidano a gestire il dopo Saddam in
esclusiva, senza allargare alle Nazioni Unite e senza cedere
alle lusinghe di una politica multilaterale: troppi sono gli
appetiti imprenditoriali, troppi sono i dividendi dei
petrodollari qualora l'Iraq sfornasse milioni di barili al
giorno, troppa è la tentazione di fare da soli come è pratica
dell'attuale élite al potere negli Usa, protesa al dominio
planetario.
Turchia e Kurdistan sono realtà antagoniste che gli Usa non
possono gestire e controllare a piacimento, e grosso è il
pericolo che corrono i peshmerga, destinati ad un sacrificio
(l'ennesimo!) una volta sbaragliati gli iracheni; infatti
nell'area autogovernata da Barzani e Jalabani, leader
riconciliati delle due principali fazioni kurde presenti nel
Kurdistan iracheno (il secondo legato alla presenza kurda in
Iran), insistono città simbolo dell'Iraq storico (Mosul), per
non parlare di Kirkuk, capoluogo e grosso centro di produzione e
smistamento di oleodotti il cui passaggio ha ingrassato i
padroni della resistenza kurda in questi anni di relativo
sganciamento dal sistema di potere di Saddam. Questa area è
cruciale in prospettiva anche per la linea di connessione tra
Siria e Iran, terminale prima del Mediterraneo di condutture
provenienti dall'area caspica e centrorientale, altro bacino
energetico di rilievo quale contraltare del medio oriente.
È prevedibile che chi gestisca il controllo in questa area goda
di una fiducia al cento per cento da parte dei nuovi signori
dell'Iraq, ossia gli americani, e i Kurdi non sono certo i
candidati ideali per svolgere il ruolo di fedeli vassalli, visto
il conflitto irrisolto con gli alleati Nato della Turchia e
considerate le pretese di autonomia, anche non indipendentista,
che però lega i Kurdi ovunque essi siano, quindi nell'Anatolia
meridionale soprattutto.
La risistemazione, modellata magari sulla geografia politica di
Sykes e Picot degli anni Venti, ossia squadrata ai fini degli
interessi occidentali e immemore di ogni specificità in loco
delle popolazioni residenti da secoli, è ancora lungi
dall'essere stata studiata e proposta come futuro assetto. Più
credibili l'ipotesi di un governatorato Usa militare prima,
civile poi, magari sostenuto dalle Nazioni Unite in una seconda
fase, che gestisca la ricostruzione in dollari che rientreranno
nel ciclo recessivo dell'economia Usa, dato che è stato imposto
con le armi da leader provenienti da imprese interessate e
coinvolte nei lavori "umanitari" (ad esempio, la Halliburton del
vicepresidente Cheney, la Bechtel del'ex segretario di stato di
Reagan, Shutz, la Chevron della Condoleeza Rice, e via dicendo
su questo tipico tenore di conflitto di interessi...).
In tutta questa ampia gamma di ipotesi micidiali per le
esistenze delle popolazioni in loco, i Kurdi sembrano godere del
triste privilegio di essere i più reietti della zona, senza uno
sponsor nel resto del mondo forte da imporre la questione kurda
come un'altra questione palestinese sul cui conflitto dividere
le sfere di interesse geopolitico delle potenze e delle opinioni
pubbliche. In tal senso, i Kurdi non godono dell'analogo fervore
della stampa di sinistra, anche per via delle divisioni interne
che hanno condotto in passato a scontri fratricidi, forse perché
il modello di società clanica da essi veicolato non corrisponde
ai desiderata auspicati da una militanza occidentale ancora
troppo legata ai miti di una omologazione delle lotte di
autodeterminazione secondo il modello nostrano di forma politica
da istituire (lo stato nazionale). Basti ricordare il consenso
goduto a sinistra dal comandante "Apo" Ocalan che ha utilizzato
la lotta armata di pallida assonanza con le lotte comuniste, per
regolare conti interni, per sterminare i dissidenti interni, per
accentrare nel Pkk ogni altra ipotesi di resistenza e di
liberazione dall'assoggettamento quadristatuale.
Lungo tale strada lastricata di deboli simpatie, si è giocato e
si gioca tuttora il destino della popolazione kurda, e
sinceramente non trovo ragioni per ritenere che la "liberazione"
angloamericana possa essere una soluzione adeguata alle loro
esigenze di libertà da ogni giogo.
Salvo Vaccaro
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