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(it) A guardia del mondo - Noam Chomsky

From "Archivio Chomsky (it)" <chomsky.it@hotbot.com>
Date Mon, 10 Jan 2000 23:21:03 -0500


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      A - I N F O S  N E W S  S E R V I C E
            http://www.ainfos.ca/
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A GUARDIA DEL MONDO

                     Noam Chomsky

La fine della guerra fredda ha avuto molte conseguenze importanti sugli
affari internazionali. In primo luogo, essa ha richiesto che la
superpotenza regnante e i suoi apparati dottrinali (media, intellettuali,
ecc.) adottassero nuovi pretesti per giustificare politiche che rimanevano
sostanzialmente invariate. Questo è stato immediatamente evidente in
documenti ufficiali, dibattiti pubblici, ecc. Di fatto, il processo era in
corso dall'inizio degli anni '80, in previsione del fatto che la formula
"arrivano i russi" non avrebbe funzionato ancora per molto (terroristi
arabi pazzi, narcotrafficanti ispanici, ecc.). Ma un brusco cambiamento si
è verificato immediatamente dopo la caduta del muro di Berlino. Ho
documentato sulla stampa molti dei dettagli, via via che i mutamenti
seguivano il loro corso naturale. 

In secondo luogo, il non-allineamento è stato eliminato con successo.
Quando il mondo è governato da due gangster, uno più potente e uno meno, vi
è un certo spazio per il non-allineamento. Quando ne resta uno solo, quello
più potente, tale spazio viene meno. Ecco perché perfino ferventi
anticomunisti del Terzo mondo, come il primo ministro della Malesia
Mahathir, descrivono la fine della guerra fredda come una specie di
tragedia per il Sud. La noncuranza e il disprezzo per le preoccupazioni del
Terzo mondo sono state subito evidenti, e sono ormai estreme. Anche di
questo atteggiamento ho già discusso in dettaglio - e più volte - sulla
stampa.

Un'altra conseguenza è che, venuto meno il deterrente, l'intervento
violento è molto più facile per i principali stati guerrieri (gli Stati
Uniti e il loro mastino, la Gran Bretagna). Anche questo è stato subito
evidente, sebbene essi siano costretti in misura non piccola
all'aggressione e al terrore dall'opposizione presente nei loro stessi
paesi, ed è rivelato molto chiaramente nei documenti di programmazione ad
alto livello trapelati. 

Tutto questo era stato chiaramente compreso in anticipo. In alcuni saggi
del 1989, ripubblicati nella mia raccolta del 1991 Deterring Democrocacy
citavo le osservazioni di uno stimato analista, Dimitri Simes, Senior
Associate del Carnegie Endowment for peace, nell'edizione di fine anno 1989
del New York Times. Egli riconosceva che l'era sovietica stava volgendo al
termine, e salutava il nuovo scenario, in gran parte, per le ragioni che ho
appena menzionato. Il crollo del deterrente avrebbe consentito agli Stati
Uniti di ricorrere alla violenza per promuovere i propri interessi (di
fatto gli interessi del settore finanziario, sebbene egli non si sia
espresso così) e non sarebbe più stato necessario andare incontro alle
preoccupazioni del Terzo mondo. Un'analisi fondamentalmente accurata, assai
rispondente a ciò a cui assistiamo da dieci anni, sebbene per rendersene
conto sia necessario sfuggire ai confini dell'apparato dottrinale e
scoprire le verità nascoste sulla situazione in Turchia, Timor Est,
Colombia, Haiti, ecc. - per attenersi solo all'era del dopo guerra fredda.

Il	crollo del brutale e corrotto impero sovietico ha condotto ovviamente a
molte lotte interne. Ma questo è la norma. I crolli degli imperi
britannico, francese e portoghese portarono a conflitti ancora più violenti
e distruttivi, molti dei quali ancora divampano. Poiché quelli erano imperi
occidentali, la questione non è vista in questa luce, e l'orribile
situazione che ha fatto seguito al crollo dell'impero sovietico viene
percepita come qualcosa di unico, un altro delitto del nemico ufficiale,
che ha già crimini di cui rispondere in misura più che sufficiente. Uscendo
dai confini dottrinali, possiamo vedere che la storia è piuttosto diversa.



Le norme dell'ordine internazionale sono quelle di sempre. Regna la legge
del più forte, così come è sempre successo. Gli stati non sono agenti
morali, sebbene il compito degli intellettuali sia dipingerli come nobili e
giusti (i loro stati e i loro clienti, cioè; non i nemici, che possono
essere rappresentati realisticamente). Le persone comunque sono agenti
morali, e possono agire - e agiscono - per limitare la violenza del potere,
a volte per rovesciarlo

I problemi dell'autodeterminazione assumono sempre nuove forme, così come
le situazioni contingenti, che si modificano. Soltanto per menzionare uno
dei più drammatici cambiamenti recenti - il cui impatto globale è superiore
a quello della fine della guerra fredda, ritengo -, la decisione da parte
degli Stati Uniti e, in seguito, dei suoi alleati di liberalizzare il
capitale finanziario all'inizio degli anni '70, smantellando il sistema di
Bretton Woods, ha avuto proprio quelle conseguenze che gli ideatori di
Bretton Woods avevano in mente quando costruirono un sistema di liberalismo
contenuto", con limitazioni sui flussi di capitale e tassi di cambio
relativamente fissi. Essi capivano molto bene che la liberalizzazione dei
mercati finanziari sarebbe stata un'arma potente contro
l'autodeterminazione - contro la democrazia e il welfare state. Le ragioni
sono semplici: investitori, speculatori e potenti istituzioni finanziarie
possono diventare ciò che alcuni economisti internazionali hanno chiamato
un "senato virtuale", incapace di imporre le sue politiche anche agli stati
più potenti. punendo scelte "irrazionali" che avvantaggerebbero solo le
persone, non i profitti, mediante la minaccia (o la realtà, se necessario)
della fuga dei capitali, costringendo i tassi di interesse a crescere, e
spedendo l'economia in recessione se non peggio. A parte questo, le
politiche di molti paesi del mondo sono determinate direttamente dalle
istituzioni finanziarie internazionali che riflettono largamente le
decisioni degli Stati Uniti. Ovviamente questo limita deliberatamente
l'autodeterminazione e trasferisce potere nelle mani delle grandi tirannnie
degli stati potenti su cui esse fanno affidamento e che dominano-"come
strumenti e tiranni" secondo l'acuta definizione data da James Madison 200
anni fa.

Questo è solo un fattore nella limitazione dell'autodeterminazione. Altri
sono più semplici ad esempio il brutale della violenza e del terrore. I
dissidenti intellettuali dell'America Latina -quelli che sono sopravvissuti
-hanno descritto in modo eloquente gli effetti residui dellla cultura del
terrore, che permangono dopo che il terrore vero e proprio è tramontato,
avendo raggiunto i suoi obbiettivi. Questa "cultura del terrore" ha
l'effetto di "addomesticare le aspirazioni della maggioranza", in modo che
essa non sogni nemmeno scelte di opposizione rispetto a quelle dei potenti.
Sto facendo riferimento al rapporto di un meeting organizzato dagli
intellettuali gesuiti (sopravvissuti) a El Salvador alcuni anni fa, ma
questa consapevolezza è diffusa tra le vittime tradizionali, e naturalmente
taciuta. I potenti e i privilegiati preferiscono una differente immagine di
se stessi. Inutile dirlo, il terrore e la repressione che essi descrivono
sono riconducibili direttamente al quartier generale della superpotenza
regnante. 

                                          

La pulizia etnica può essere un crimine terribile, e la storia ne è piena.
Prendiamo ad esempio semplicemente la superpotenza regnante. Essa ha
ottenuto il suo territorio nazionale mediante massicce operazioni di
pulizia etnica "sterminando" la popolazione nativa, secondo le parole dei
Padri Fondatori. Poi si è rivolta all'esterno, compiendo un enorme massacro
nelle Filippine, uccidendo centinaia di migliaia di persone e sottoponendo
i nativi che si opponevano a pulizia etnica.

Comportamenti analoghi sono seguiti poi in altre zone del suo dominio in
espansione. In anni più recenti, l'attacco di John F. Kennedy al Vietnam
del Sud nel 1961-62 (chiamato "la difesa del Vietnam del Sud" nella cultura
dei commissari del popolo) ha incluso non solo il bombardamento su vasta
scala di obiettivi civili da parte dell'aviazione americana, ma anche la
distruzione dei raccolti e un'ampia operazione di pulizia etnica per
portare centinaia di migliaia - infine milioni di persone in campi di
concentramento chiamati "villaggi strategici" e in slum urbani. Le stesse
politiche sono state poi estese a Laos, Cambogia, e Vietnam del Nord -
soprattutto a sud del ventesimo parallelo, in modo che la cosa non
risultasse troppo visibile agli osservatori occidentali.
Gli Usa hanno poi sostenuto la pulizia etnica indonesiana a Timor Est,
distruggendo consapevolmente forse un quarto della popolazione o più, e
compiendo molte atrocità in altri posti, incluse le loro vaste operazioni
di terrore nell'America centrale, che hanno prodotto milioni di profughi
uccidendo al contempo molte altre centinaia di migliaia di persone.

La situazione continua così per tutti gli anni '90. Una delle peggiori
pulizie etniche della metà degli anni '90 avviene all'interno della Nato,
nel suo angolo sud-orientale - forse 2-3 milioni di rifugiati, 3.500
villaggi distrutti, decine di migliaia di persone uccise, ogni atrocità
immaginabile, in gran parte grazie a Bili Clinton che, mentre le atrocità
giungevano al culmine, aumentava il flusso di armi (hanno contribuito altre
potenze Nato, ma gli Stati Uniti erano in posizione preminente).

È solo un piccolo esempio. La pulizia etnica è una storia vecchia, e
terribile. Devo aggiungere, per precisione, che gli Stati Uniti non sono
impegnati in una pulizia "etnica". Piuttosto, sono ecumenici. Se si trova
sulla loro strada e disobbedisce, una vittima vale l'altra. Per le altre
potenze è lo stesso, anche se a volte capita che le vittime costituiscano
un gruppo etnico. Ad esempio, i 750.000 palestinesi che sono fuggiti o sono
stati cacciati dalle loro case nel 1948 con ampio ricorso alla violenza e
al terrore. In linea di principio, fu loro garantito il diritto a ritornare
o a ricevere un indennizzo per decisione quasi unanime della comunità
internazionale.

Ma in un'altra dimostrazione del suo impegno nel campo dei diritti umani,
Clinton ha unilateralmente posto il veto a quella decisione (l'opposizione
degli Usa corrisponde a un veto, dati i poteri reali).

Nella dottrina occidentale, il termine "pulizia etnica" è usato molto poco:
per riferirsi alla pulizia etnica attuata dai nemici ufficiali. Ancora una
volta, è una pratica corrente, nella storia - e nella storia intellettuale.
Gli esempi verso cui l'attenzione viene attentamente indirizzata sono
sufficientemente orribili, ma paragonarli all'Olocausto è una forma estrema
di revisionismo sull'Olocausto stesso, e un vergognoso insulto alle sue
vittime. Questo dovrebbe essere evidente senza ulteriori commenti.

vittime. Questo dovrebbe essere evidente senza ulteriori commenti.

                (trad. di Marina Impallomeni)

Da "Il Manifesto" di sabato 4 Dicembre 1999 nella sezione Culture alle
voci: "Fine della guerra fredda, autodeterminazione, pulizia etnica, il
ruolo degli Stati Uniti nel governo dell'ordine mondiale" e "Dopo la
mobilitazione di Seattle contro l'organizzazione del commercio, la critica
radicale di Noam Chomsky  all'incontrastata potenza dell'Impero americano".



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  Archivio Web Noam Chomsky [it]
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  e-mail: chomsky.it@hotbot.com
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